E’ stata pubblicata il 7 luglio l’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate”. L’enciclica è il documento più importante emesso da un papa, in quanto indica il pensiero ufficiale della Chiesa su determinati temi costituendo, perciò, un riferimento per i vescovi e i fedeli e non solo. Il documento, incentrato “Sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità”, di cui si propongono alcuni stralci, andrebbe letto integralmente e con attenzione; vi si coglie uno sguardo profondo e acuto sul mondo e sul nostro tempo, sull’uomo e la sua “vocazione” secondo l’insegnamento di Cristo; uno sguardo ampissimo, anche, sugli aspetti e i fenomeni che condizionano fortemente la nostra esistenza: la tecnologia, la politica, l’economia, l’ambiente, la genetica etc.; un documento granitico e coerente, equilibrato ma fermo nelle diagnosi e nella cura delle molte patologie; senza fare sconti a nessuno – politicamente parlando, né alle destre né alle sinistre nostrane e straniere; un pensiero, insomma, “forte e chiaro”, che radica nel vangelo, nel pensiero millenario e nella tradizione della Chiesa (da San Paolo a Sant’Agostino) richiamando precedenti encicliche e documenti. Personalmente non mi sento di condividerlo appieno, specie in alcuni passaggi (1) , ma ritengo che meriti grande ascolto e rispetto, specie in tempi d’assenza di idee e di progetti altrettanto autorevoli.
Nell’introduzione si dice che “La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende «minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati ». “Ha pero` una missione di verita` da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una societa` a misura dell’uomo, della sua dignita`, della sua vocazione.” Io sono invece dell’avviso, per i punti che mi accingo a evidenziare, che la Chiesa dovrebbe “intromettersi” eccome nella politica degli Stati, non meno dei molti singoli “di buona volontà”, laici o religiosi che siano, considerata la grave situazione di deprivazione in cui versa una buona parte dell’umanità, i pericoli che incombono su di essa e la planetaria condivisione di alcuni valori in gioco; soprattutto, però, considerata l’ignavia o la collusione di tanta politica con gli interessi di ristrette oligarchie, e l’inefficace azione dei movimenti di opposizione. Ultimata la lettura del documento, ho pensato che vi fosse dentro ”qualcosa di sinistra” più di quanta ve ne sia nella prassi politica di certa nostra sinistra. Ognuno, comunque, si farà una propria idea leggendo il documento. (GN)
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“Dall’ideologia tecnocratica, particolarmente radicata oggi, Paolo VI aveva gia` messo in guardia, consapevole del grande pericolo di affidare l’intero processo dello sviluppo alla sola tecnica, perche´ in tal modo rimarrebbe senza orientamento. La tecnica, presa in se stessa, e`ambivalente. Se da un lato, oggi, vi e` chi propende ad affidarle interamente detto processo di sviluppo, dall’altro si assiste all’insorgenza di ideologie che negano in toto l’utilita` stessa dello sviluppo, ritenuto radicalmente antiumano e portatore solo di degradazione. Cosı`, si finisce per condannare non solo il modo distorto e ingiusto con cui gli uomini talvolta orientano il progresso, ma le stesse scoperte scientifiche, che, se ben usate, costituiscono invece un’opportunita` di crescita per tutti.”
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“Nei Paesi ricchi nuove categorie sociali si impoveriscono e nascono nuove poverta`. In aree piu` povere alcuni gruppi godono di una sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria disumanizzante. Continua « lo scandalo di disuguaglianze clamorose ». La corruzione e l’illegalita` sono purtroppo presenti sia nel comportamento di soggetti economici e politici dei Paesi ricchi, vecchi e nuovi, sia negli stessi Paesi poveri. A non rispettare i diritti umani dei lavoratori sono a volte grandi imprese transnazionali e anche gruppi di produzione locale. Gli aiuti internazionali sono stati spesso distolti dalle loro finalita`, per irresponsabilita` che si annidano sia nella catena dei soggetti donatori sia in quella dei fruitori. Anche nell’ambito delle cause immateriali o culturali dello sviluppo e del sottosviluppo possiamo trovare la medesima articolazione di responsabilita`. Ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprieta` intellettuale, specialmente nel campo sanitario. Nello stesso tempo, in alcuni Paesi poveri persistono modelli culturali e norme sociali di comportamento che rallentano il processo di sviluppo.”
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“Nella nostra epoca, lo Stato si trova nella situazione di dover far fronte alle limitazioni che alla sua sovranita` frappone il nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale, contraddistinto anche da una crescente mobilita` dei capitali finanziari e dei mezzi di produzione materiali ed immateriali. Questo nuovo contesto ha modificato il potere politico degli Stati. Oggi, facendo anche tesoro della lezione che ci viene dalla crisi economica in atto che vede i pubblici poteri dello Stato impegnati direttamente a correggere errori e disfunzioni, sembra piu` realistica una rinnovata valutazione del loro ruolo e del loro potere, che vanno saggiamente riconsiderati e rivalutati in modo che siano in grado, anche attraverso nuove modalita` di esercizio, di far fronte alle sfide del mondo odierno. Con un meglio calibrato ruolo dei pubblici poteri, e` prevedibile che si rafforzino quelle nuove forme di partecipazione alla politica nazionale e internazionale che si realizzano attraverso l’azione delle Organizzazioni operanti nella societa` civile; in tale direzione e` auspicabile che crescano un’attenzione e una partecipazione piu` sentite alla res publica da parte dei cittadini. Il mercato diventato globale ha stimolato anzitutto, da parte di Paesi ricchi, la ricerca di aree dove de localizzare le produzioni di basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti beni, accrescere il potere di acquisto e accelerare pertanto il tasso di sviluppo centrato su maggiori consumi per il proprio mercato interno. Conseguentemente, il mercato ha stimolato forme nuove di competizione tra Stati allo scopo di attirare centri produttivi di imprese straniere, mediante vari strumenti, tra cui un fisco favorevole e la deregolamentazione del mondo del lavoro. Questi processi hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali dell’uomo e per la solidarieta` attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale. I sistemi di sicurezza sociale possono perdere la capacita` di assolvere al loro compito, sia nei Paesi emergenti, sia in quelli di antico sviluppo, oltre che nei Paesi poveri. Qui le politiche di bilancio, con i tagli alla spesa sociale, spesso anche promossi dalle Istituzioni finanziarie internazionali, possono lasciare i cittadini impotenti di fronte a rischi vecchi e nuovi; tale impotenza e` accresciuta dalla mancanza di protezione efficace da parte delle associazioni dei lavoratori. L’insieme dei cambiamenti sociali ed economici fa sı` che le organizzazioni sindacali sperimentino maggiori difficolta` a svolgere il loro compito di rappresentanza degli interessi dei lavoratori, anche per il fatto che i Governi, per ragioni di utilita` economica, limitano spesso le liberta` sindacali o la capacita` negoziale dei sindacati stessi. Le reti di solidarieta` tradizionali trovano cosı` crescenti ostacoli da superare. L’invito della dottrina sociale della Chiesa, cominciando dalla Rerum novarum, a dar vita ad associazioni di lavoratori per la difesa dei propri diritti va pertanto onorato oggi ancor piu` di ieri, dando innanzitutto una risposta pronta e lungimirante all’urgenza di instaurare nuove sinergie a livello internazionale, oltre che locale.
La mobilita` lavorativa, associata alla deregolamentazione generalizzata, e` stata un fenomeno importante, non privo di aspetti positivi perche´ capace di stimolare la produzione di nuova ricchezza e lo scambio tra culture diverse. Tuttavia, quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilita` e di deregolamentazione, diviene endemica, si creano forme di instabilita` psicologica, di difficolta` a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio. Conseguenza di cio` e` il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale. Rispetto a quanto accadeva nella societa` industriale del passato, oggi la disoccupazione provoca aspetti nuovi di irrilevanza economica e l’attuale crisi puo` solo peggiorare tale situazione. L’estromissione dal lavoro per lungo tempo, oppure la dipendenza prolungata dall’assistenza pubblica o privata, minano la liberta` e la creativita` della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale. Desidererei ricordare a tutti, soprattutto ai governanti impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e sociali del mondo, che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare e` l’uomo, la persona, nella sua integrita`: ‘‘L’uomo infatti e` l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale’’.
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“Eliminare la fame nel mondo e` divenuta, nell’era della globalizzazione, anche un traguardo da perseguire per salvaguardare la pace e la stabilita` del pianeta. La fame non dipende tanto da scarsita` materiale, quanto piuttosto da scarsita` di risorse sociali, la piu` importante delle quali e` di natura istituzionale. Manca, cioe`, un assetto di istituzioni economiche in grado sia di garantire un accesso al cibo e all’acqua regolare e adeguato dal punto di vista nutrizionale, sia di fronteggiare le necessita` connesse con i bisogni primari e con le emergenze di vere e proprie crisi alimentari, provocate da cause naturali o dall’irresponsabilita` politica nazionale e internazionale. Il problema dell’insicurezza alimentare va affrontato in una prospettiva di lungo periodo, eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi piu` poveri mediante investimenti in infrastrutture rurali, in sistemi di irrigazione, in trasporti, in organizzazione dei mercati, in formazione e diffusione di tecniche agricole appropriate, capaci cioe` di utilizzare al meglio le risorse umane, naturali e socio-economiche maggiormente accessibili a livello locale, in modo da garantire una loro sostenibilita` anche nel lungo periodo. Tutto cio` va realizzato coinvolgendo le comunita` locali nelle scelte e nelle decisioni relative all’uso della terra coltivabile. In tale prospettiva, potrebbe risultare utile considerare le nuove frontiere che vengono aperte da un corretto impiego delle tecniche di produzione agricola tradizionali e di quelle innovative, supposto che esse siano state dopo adeguata verifica riconosciute opportune, rispettose dell’ambiente e attente alle popolazioni piu` svantaggiate. Al tempo stesso, non dovrebbe venir trascurata la questione di un’equa riforma agraria nei Paesi in via di sviluppo. Il diritto all’alimentazione, cosı` come quello all’acqua, rivestono un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti, ad iniziare, innanzitutto, dal diritto primario alla vita. E` necessario, pertanto, che maturi una coscienza solidale che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni ne´ discriminazioni. E` importante inoltre evidenziare come la via solidaristica allo sviluppo dei Paesi poveri possa costituire un progetto di soluzione della crisi globale in atto, come uomini politici e responsabili di Istituzioni internazionali hanno negli ultimi tempi intuito. Sostenendo mediante piani di finanziamento ispirati a solidarieta` i Paesi economicamente poveri, perché provvedano essi stessi a soddisfare le domande di beni di consumo e di sviluppo dei propri cittadini, non solo si puo` produrre vera crescita economica, ma si puo` anche concorrere a sostenere le capacita` produttive dei Paesi ricchi che rischiano di esser compromesse dalla crisi.”
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“Nell’epoca della globalizzazione l’economia risente di modelli competitivi legati a culture tra loro molto diverse. I comportamenti economico-imprenditoriali che ne derivano trovano prevalentemente un punto d’incontro nel rispetto della giustizia commutativa. La vita economica ha senz’altro bisogno del contratto, per regolare i rapporti di scambio tra valori equivalenti. Ma ha altresı` bisogno di leggi giuste e di forme di ridistribuzione guidate dalla politica, e inoltre di opere che rechino impresso lo spirito del dono. L’economia globalizzata sembra privilegiare la prima logica, quella dello scambio contrattuale, ma direttamente o indirettamente dimostra di aver bisogno anche delle altre due, la logica politica e la logica del dono senza contropartita.
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“Nell’epoca della globalizzazione, l’attivita` economica non puo` prescindere dalla gratuita`, che dissemina e alimenta la solidarieta` e la responsabilita` per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti e attori. Si tratta, in definitiva, di una forma concreta e profonda di democrazia economica. La solidarieta` e` anzitutto sentirsi tutti responsabili di tutti, quindi non puo` essere delegata solo allo Stato. Mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuita` intervenisse dopo come un complemento, oggi bisogna dire che senza la gratuita` non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia. Serve, pertanto, un mercato nel quale possano liberamente operare, in condizioni di pari opportunita`, imprese che perseguono fini istituzionali diversi. Accanto all’impresa privata orientata al profitto, e ai vari tipi di impresa pubblica, devono potersi radicare ed esprimere quelle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali. E` dal loro reciproco confronto sul mercato che ci si puo` attendere una sorta di ibridazione dei comportamenti d’impresa e dunque un’attenzione sensibile alla civilizzazione dell’economia. Carita` nella verita`, in questo caso, significa che bisogna dare forma e organizzazione a quelle iniziative economiche che, pur senza negare il profitto, intendono andare oltre la logica dello scambio degli equivalenti e del profitto fine a se stesso.”
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“Le attuali dinamiche economiche internazionali, caratterizzate da gravi distorsioni e disfunzioni, richiedono profondi cambiamenti anche nel modo di intendere l’impresa. Vecchie modalita` della vita imprenditoriale vengono meno, ma altre promettenti si profilano all’orizzonte. Uno dei rischi maggiori e` senz’altro che l’impresa risponda quasi esclusivamente a chi in essa investe e finisca cosı` per ridurre la sua valenza sociale. Sempre meno le imprese, grazie alla crescita di dimensione ed al bisogno di sempre maggiori capitali, fanno capo a un imprenditore stabile che si senta responsabile a lungo termine, e non solo a breve, della vita e dei risultati della sua impresa, e sempre meno dipendono da un unico territorio. Inoltre la cosiddetta delocalizzazione dell’attivita` produttiva puo` attenuare nell’imprenditore il senso di responsabilita` nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori, l’ambiente naturale e la piu` ampia societa` circostante, a vantaggio degli azionisti, che non sono legati a uno spazio specifico e godono quindi di una straordinaria mobilita`. Il mercato internazionale dei capitali, infatti, offre oggi una grande liberta` di azione. E` pero` anche vero che si sta dilatando la consapevolezza circa la necessita` di una piu` ampia ‘‘responsabilita` sociale’’ dell’impresa. Anche se le impostazioni etiche che guidano oggi il dibattito sulla responsabilita` sociale dell’impresa non sono tutte accettabili secondo la prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, e` un fatto che si va sempre piu` diffondendo il convincimento in base al quale la gestione dell’impresa non puo` tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunita` di riferimento. Negli ultimi anni si e` notata la crescita di una classe cosmopolita di manager, che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti di riferimento costituiti in genere da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i loro compensi. Anche oggi tuttavia vi sono molti manager che con analisi lungimirante si rendono sempre piu` conto dei profondi legami che la loro impresa ha con il territorio, o con i territori, in cui opera. Paolo VI invitava a valutare seriamente il danno che il trasferimento all’estero di capitali a esclusivo vantaggio personale puo` produrre alla propria Nazione. Giovanni Paolo II avvertiva che investire ha sempre un significato morale, oltre che economico. Tutto questo – va ribadito – e` valido anche oggi, nonostante che il mercato dei capitali sia stato fortemente liberalizzato e le moderne mentalita` tecnologiche possano indurre a pensare che investire sia solo un fatto tecnico e non anche umano ed etico. Non c’e` motivo per negare che un certo capitale possa fare del bene, se investito all’estero piuttosto che in patria. Devono pero` essere fatti salvi i vincoli di giustizia, tenendo anche conto di come quel capitale si e` formato e dei danni alle persone che comportera` il suo mancato impiego nei luoghi in cui esso e` stato generato. Bisogna evitare che il motivo per l’impiego delle risorse finanziarie sia speculativo e ceda alla tentazione di ricercare solo profitto di breve termine, e non anche la sostenibilita` dell’impresa a lungo termine, il suo puntuale servizio all’economia reale e l’attenzione alla promozione, in modo adeguato ed opportuno, di iniziative economiche anche nei Paesi bisognosi di sviluppo. Non c’e` nemmeno motivo di negare che la delocalizzazione, quando comporta investimenti e formazione, possa fare del bene alle popolazioni del Paese che la ospita. Il lavoro e la conoscenza tecnica sono un bisogno universale. Non e` pero` lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento, senza apportare alla societa` locale un vero contributo per la nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore imprescindibile di sviluppo stabile.”
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“Anche l’‘‘autorita` politica’’ ha un significato plurivalente, che non puo` essere dimenticato, mentre si procede alla realizzazione di un nuovo ordine economico-produttivo, socialmente responsabile e a misura d’uomo. Come si intende coltivare un’imprenditorialita` differenziata sul piano mondiale, cosı` si deve promuovere un’autorita`politica distribuita e attivantesi su piu` piani. L’economia integrata dei giorni nostri non elimina il ruolo degli Stati, piuttosto ne impegna i Governi ad una piu` forte collaborazione reciproca. Ragioni di saggezza e di prudenza suggeriscono di non proclamare troppo affrettatamente la fine dello Stato. In relazione alla soluzione della crisi attuale, il suo ruolo sembra destinato a crescere, riacquistando molte delle sue competenze. Ci sono poi delle Nazioni in cui la costruzione o ricostruzione dello Stato continua ad essere un elemento chiave del loro sviluppo. L’aiuto internazionale proprio all’interno di un progetto solidaristico mirato alla soluzione degli attuali problemi economici dovrebbe piuttosto sostenere il consolidamento di sistemi costituzionali, giuridici, amministrativi nei Paesi che non godono ancora pienamente di questi beni. Accanto agli aiuti economici, devono esserci quelli volti a rafforzare le garanzie proprie dello Stato di diritto, un sistema di ordine pubblico e di carcerazione efficiente nel rispetto dei diritti umani, istituzioni veramente democratiche. Non e` necessario che lo Stato abbia dappertutto le medesime caratteristiche: il sostegno ai sistemi costituzionali deboli affinche´ si rafforzino puo` benissimo accompagnarsi con lo sviluppo di altri soggetti politici, di natura culturale, sociale, territoriale o religiosa, accanto allo Stato. L’articolazione dell’autorita` politica a livello locale, nazionale e internazionale e`, tra l’altro, una delle vie maestre per arrivare ad essere in grado di orientare la globalizzazione economica. E` anche il modo per evitare che essa mini di fatto i fondamenti della democrazia.
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Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l’altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell’umanita`. Si e` spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle societa` opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie di grandi metropoli. La relazione sta nel fatto che i diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di richieste praticamente illimitata e priva di criteri. L’esasperazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri. I doveri delimitano i diritti perche´ rimandano al quadro antropologico ed etico entro la cui verita` anche questi ultimi si inseriscono e cosı` non diventano arbitrio. Per questo motivo i doveri rafforzano i diritti e propongono la loro difesa e promozione come un impegno da assumere a servizio del bene. Se, invece, i diritti dell’uomo trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un’assemblea di cittadini, essi possono essere cambiati in ogni momento
e, quindi, il dovere di rispettarli e perseguirli si allenta nella coscienza comune. I Governi e gli Organismi internazionali possono allora dimenticare l’oggettivita` e l’« indisponibilita` » dei diritti. Quando cio` avviene, il vero sviluppo dei popoli e` messo in pericolo. Comportamenti simili compromettono l’autorevolezza degli Organismi internazionali, soprattutto agli occhi dei Paesi maggiormente bisognosi di sviluppo. Questi, infatti, richiedono che la comunita` internazionale assuma come un dovere l’aiutarli a essere « artefici del loro destino », ossia ad assumersi a loro volta dei doveri. La condivisione dei doveri reciproci mobilita assai piu` della sola rivendicazione di diritti.”
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“La cooperazione internazionale ha bisogno di persone che condividano il processo di sviluppo economico e umano, mediante la solidarieta` della presenza, dell’accompagnamento,
della formazione e del rispetto. Da questo punto di vista, gli stessi Organismi internazionali dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici e amministrativi, spesso troppo costosi. Capita talvolta che chi e` destinatario degli aiuti diventi funzionale a chi lo aiuta e che i poveri servano a mantenere in vita dispendiose organizzazioni burocratiche che riservano per la propria conservazione percentuali troppo elevate di quelle risorse che invece dovrebbero essere destinate allo sviluppo. In questa prospettiva, sarebbe auspicabile che tutti gli Organismi internazionali e le Organizzazioni non governative si impegnassero ad una piena trasparenza, informando i donatori e l’opinione pubblica circa la percentuale dei fondi ricevuti destinata ai programmi di cooperazione, circa il vero contenuto di tali programmi, e infine circa la composizione delle spese dell’istituzione stessa.”
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“Le questioni legate alla cura e alla salvaguardia dell’ambiente devono oggi tenere in debita considerazione le problematiche energetiche. L’accaparramento delle risorse energetiche non rinnovabili da parte di alcuni Stati, gruppi di potere e imprese costituisce, infatti, un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri. Questi non hanno i mezzi economici ne´ per accedere alle esistenti fonti energetiche non rinnovabili ne´ per finanziare la ricerca di fonti nuove e alternative. L’incetta delle risorse naturali, che in molti casi si trovano proprio nei Paesi poveri, genera sfruttamento e frequenti conflitti tra le Nazioni e al loro interno. Tali conflitti si combattono spesso proprio sul suolo di quei Paesi, con pesanti bilanci in termini di morte, distruzione e ulteriore degrado. La comunita` internazionale ha il compito imprescindibile di trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesi poveri, in modo da pianificare insieme il futuro. Anche su questo fronte vi e` l’urgente necessita` morale di una rinnovata solidarieta`, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e i Paesi altamente industrializzati. Le societa` tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico sia perche´ le attivita` manifatturiere evolvono, sia perche´ tra i loro cittadini si diffonde una sensibilita` ecologica maggiore. Si deve inoltre aggiungere che oggi e` realizzabile un miglioramento dell’efficienza energetica ed e` al tempo stesso possibile far avanzare la ricerca di energie alternative. E` pero` anche necessaria una ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche, in modo che anche i Paesi che ne sono privi possano accedervi. Il loro destino non puo` essere lasciato nelle mani del primo arrivato o alla logica del piu` forte. Si tratta di problemi rilevanti che, per essere affrontati in modo adeguato, richiedono da parte di tutti la responsabile presa di coscienza delle conseguenze che si riverseranno sulle nuove generazioni, soprattutto sui moltissimi giovani presenti nei popoli poveri, i quali « reclamano la parte attiva che loro spetta nella costruzione d’un mondo migliore.”
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E` auspicabile che la comunita` internazionale e i singoli governi sappiano contrastare in maniera efficace le modalita` d’utilizzo dell’ambiente che risultino ad esso dannose. E` altresı` doveroso che vengano intrapresi, da parte delle autorita` competenti, tutti gli sforzi necessari affinche´ i costi economici e sociali derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni siano riconosciuti in maniera trasparente e siano pienamente supportati da coloro che ne usufruiscono e non da altre popolazioni o dalle generazioni future: la protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima richiede che tutti i responsabili internazionali agiscano congiuntamente e dimostrino prontezza ad operare in buona fede, nel rispetto della legge e della solidarieta` nei confronti delle regioni piu` deboli del pianeta.121 Uno dei maggiori compiti dell’economia e` proprio il piu` efficiente uso delle risorse, non l’abuso, tenendo sempre presente che la nozione di efficienza non e` assiologicamente neutrale. -Le modalita` con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalita` con cui tratta se stesso e, viceversa. Cio` richiama la societa` odierna a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte parti del mondo, e` incline all’edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano. E` necessario un effettivo cambiamento di mentalita` che ci induca ad adottare nuovi stili di vita, ‘‘nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti’’. Ogni lesione della solidarieta` e dell’amicizia civica provoca danni ambientali, cosı` come il degrado ambientale, a sua volta, provoca insoddisfazione nelle relazioni sociali. La natura, specialmente nella nostra epoca, e` talmente integrata nelle dinamiche sociali e culturali da non costituire quasi piu` una variabile indipendente. La desertificazione e l’impoverimento produttivo di alcune aree agricole sono anche frutto dell’impoverimento delle popolazioni che le abitano e della loro arretratezza. Incentivando lo sviluppo economico e culturale di quelle popolazioni, si tutela anche la natura. Inoltre, quante
risorse naturali sono devastate dalle guerre! La pace dei popoli e tra i popoli permetterebbe anche una maggiore salvaguardia della natura. L’accaparramento delle risorse, specialmente dell’acqua, puo` provocare gravi conflitti tra le popolazioni coinvolte. Un pacifico accordo sull’uso delle risorse puo` salvaguardare la natura e, contemporaneamente, il benessere delle societa` interessate.”
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-Manifestazione particolare della carita` e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti e` senz’altro il principio di sussidiarieta`,137 espressione dell’inalienabile liberta` umana. La sussidiarieta` e` prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi. Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da se´ e implica sempre finalita` emancipatrici, perche´ favorisce la liberta` e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilita`. La sussidiarieta` rispetta la dignita` della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri. Riconoscendo nella reciprocita` l’intima costituzione dell’essere umano, la sussidiarieta` e` l’antidoto piu` efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista. Essa puo` dar conto sia della molteplice articolazione dei piani e quindi della pluralita` dei soggetti, sia di un loro coordinamento. Si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano. Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su piu` livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente. La globalizzazione ha certo bisogno di autorita`, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorita`, pero`, dovra` essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la liberta` sia per risultare concretamente efficace.
-Un altro aspetto meritevole di attenzione, trattando dello sviluppo umano integrale, e` il fenomeno delle migrazioni. E` fenomeno che impressiona per la quantita` di persone coinvolte, per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfide drammatiche che pone alle comunita` nazionali e a quella internazionale. Possiamo dire che siamo di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato. Tale politica va sviluppata a partire da una stretta collaborazione tra i Paesi da cui partono i migranti e i Paesi in cui arrivano; va accompagnata da adeguate normative internazionali in grado di armonizzare i diversi assetti legislativi, nella prospettiva di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e, al tempo stesso, quelli delle societa` di approdo degli stessi emigrati. Nessun Paese da solo puo` ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo. Tutti siamo testimoni del carico di sofferenza, di disagio e di aspirazioni che accompagna i flussi migratori. Il fenomeno, com’e` noto, e` di gestione complessa; resta tuttavia accertato che i lavoratori stranieri, nonostante le difficolta` connesse con la loro integrazione, recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle
rimesse finanziarie. Ovviamente, tali lavoratori non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro. Non devono, quindi, essere trattati come qualsiasi altro fattore di produzione. Ogni migrante e` una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione.”
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“E` bene che le persone si rendano conto che acquistare e` sempre un atto morale, oltre che economico. C’e` dunque una precisa responsabilita` sociale del consumatore, che si accompagna alla responsabilita` sociale dell’impresa. I consumatori vanno continuamente educati al ruolo che quotidianamente esercitano e che essi possono svolgere nel rispetto dei principi morali, senza sminuire la razionalita` economica intrinseca all’atto dell’acquistare. Anche nel campo degli acquisti, proprio in momenti come quelli che si stanno sperimentando dove il potere di acquisto potra` ridursi e si dovra` consumare con maggior sobrieta`, e` necessario percorrere altre strade, come per esempio forme di cooperazione all’acquisto, quali le cooperative di consumo, attive a partire dall’Ottocento anche grazie all’iniziativa dei cattolici. E` utile inoltre favorire forme nuove di commercializzazione di prodotti provenienti da aree depresse del pianeta per garantire una retribuzione decente ai produttori, a condizione che si tratti veramente di un mercato trasparente, che i produttori non ricevano solo maggiori margini di guadagno, ma anche maggiore formazione, professionalita` e tecnologia, e infine che non s’associno a simili esperienze di economia per lo sviluppo visioni ideologiche di parte. Un piu` incisivo ruolo dei consumatori, quando non vengano manipolati essi stessi da associazioni non veramente rappresentative, e` auspicabile come fattore di democrazia economica.”
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“Al pari di quanto richiesto da una corretta gestione della globalizzazione e dello sviluppo, il senso e la finalizzazione dei media vanno ricercati nel fondamento antropologico. Cio` vuol dire che essi possono divenire occasione di umanizzazione non solo quando, grazie allo sviluppo tecnologico, offrono maggiori possibilita` di comunicazione e di informazione, ma soprattutto quando sono organizzati e orientati alla luce di un’immagine della persona e del bene comune che ne rispecchi le valenze universali. I mezzi di comunicazione sociale non favoriscono la liberta` ne´ globalizzano lo sviluppo e la democrazia per tutti, semplicemente perche´ moltiplicano le possibilita` di interconnessione e di circolazione delle idee. Per raggiungere simili obiettivi bisogna che essi siano centrati sulla promozione della dignita` delle persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carita` e siano posti al servizio della verita`, del bene e della fraternita` naturale e soprannaturale. Infatti, nell’umanita` la liberta` e` intrinsecamente collegata con questi valori superiori. I media possono costituire un valido aiuto per far crescere la comunione della famiglia umana e l’ethos delle societa`, quando diventano strumenti di promozione dell’universale partecipazione nella comune ricerca di cio` che e` giusto.”
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Note
(1) “Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale.”
“La fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni, la possibilita` della clonazione e dell’ibridazione umana nascono e sono promosse nell’attuale cultura del disincanto totale, che crede di aver svelato ogni mistero, perche´ si e` ormai arrivati alla radice della vita. Qui l’assolutismo della tecnica trova la sua massima espressione. In tale tipo di cultura la coscienza e` solo chiamata a prendere atto di una mera possibilita` tecnica. Non si possono tuttavia minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti che la « cultura della morte » ha a disposizione. Alla diffusa, tragica, piaga dell’aborto si potrebbe aggiungere in futuro, ma e` gia` surrettiziamente in nuce, una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite. Sul versante opposto, va facendosi strada una mens eutanasica, manifestazione non meno abusiva di dominio sulla vita, che in certe condizioni viene considerata non piu` degna di essere vissuta. Dietro questi scenari stanno posizioni culturali negatrici della dignita` umana. Queste pratiche, a loro volta, sono destinate ad alimentare una concezione materiale e meccanicistica della vita umana.
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NB. Non sono state riportate negli stralci le note contenute nel testo, consultabili nel documento integrale.