Piero GIANUZZI
"Il molo n. 2"
Finirà anche questa pietosa stagione politica, e credo che in molti ci si aspetti, giunto quel momento, non un semplice “buon programma di governo” e “valide strategie elettorali”, per il futuro. Una società martoriata come la nostra – sullo sfondo di una questione morale quasi ogni giorno sotto i riflettori della stampa nazionale e straniera – dalla crescente povertà e precarizzazione, seppure globale, da leggi volte ad evitare al premier processi e possibili condanne penali, da leggi elettorali che hanno tolto al cittadino il diritto di scegliere direttamente i candidati, per attribuirlo alle segreterie dei partiti, da una serie di norme mirate ad imbrigliare la magistratura, a limitare il diritto di libera espressione, informazione e comunicazione attraverso la Rete e le tivù pubbliche, a imporre una fonte energetica, il nucleare, bocciato con un referendum vent’anni fa, a smantellare la pubblica amministrazione a cominciare dalla scuola pubblica, con licenziamenti, esternalizzazioni di servizi e trasferimenti massicci di risorse al settore privato – ha infatti bisogno di qualcosa di più.
Si sente forte il bisogno di un ribaltamento di destino – quello disegnato da pochi a svantaggio dei molti – attraverso un progetto coraggioso, chiaro nelle finalità e largamente condiviso; un progetto onesto e deciso che voli alto, che sappia unire le componenti sociali dentro nuovi equilibri che garantiscano, a tutti, un’esistenza dignitosa senza intollerabili sperequazioni e senza togliere, oltre misura, a chi molto possiede; un progetto a livello mondiale che dalle ceneri del liberismo e del capitalismo morenti sappia rigenerare speranze e almeno qualche sicurezza, nella vita: nel lavoro, nel soddisfacimento dei bisogni primari (sufficiente alimentazione, una casa che tutti dovrebbero avere senza essere strangolati dai mutui, un’istruzione fino al più alto grado) in una rinnovata etica dei consumi e nell’utilizzo delle risorse naturali e sociali; un progetto globale che sia di riferimento ai governi nazionali e locali; un progetto che ponga tra le priorità l’aiuto costante e massiccio ai singoli e alle popolazioni bisognose, mettendo in conto interventi internazionali per reprimere dittature e guerre sanguinarie.
Un progetto che non possiamo più considerare un sogno, ma un bisogno, urgente, indifferibile, che passa non attraverso il miraggio di un arricchimento materiale ma attraverso la consapevolezza di parziali e inevitabili rinunce a qualcosa, per l’effetto di una maggiore giustizia sociale; un progetto che troverebbe, inevitabilmente, molti nemici e, per contro, un numero vastissimo e crescente di sostenitori.
Non spetta a noi cittadini stabilire i termini esatti di un simile progetto, che richiederebbe conoscenze e competenze adeguate, e forze e gambe e sinergie per camminare e superare i molti ostacoli. A noi compete maturare e sviluppare questo sogno di radicale cambiamento, la sua urgenza, e, eventualmente, urlarlo, propagarlo, reiterarlo. Sorprende che non s’intraveda nulla di tutto questo, pur essendo da molti auspicato; che continui a imperversare solo una piccola politica chiusa e autoreferenziale, all’insegna del tirare a campare e del rimpallo di responsabilità, senza una propria forza ideativa e propulsiva; una politica che nulla azzarda. Quante legislature passeranno prima che la classe politica, ipertrofica e strapagata, rinasca e faccia propri lo sdegno e le aspettative di chi confida in loro? Quante legnate sulla schiena e sui denti gli elettori, allo stesso modo, dovranno ancora prendere perché voltino le spalle a chi alimenta in loro soltanto i peggiori istinti, perpetuando piccoli e grandi egoismi? Dal cuore o dalla ragione la certezza, ormai, che non può esserci serenità e benessere individuale in mezzo alla sofferenza e all’indigenza degli altri.