Non sei sovrano
nel castello di atomi e di carte
in cui vivi
ma quando pianti un fiore o un albero
ti bacia le dita la terra
sapida di vita in divenire.
I tanti come te,
maggioranza che vede, inerme.
Questi anni non diversi da altri
con minoranze rapaci
programmate per dominare e arricchire.
Ma tu resti quella patria
che non s’aggrega
mai metteresti in testa a qualcuno
una corona
perché decida per te, per tutti.
Ti perdi in lunghe camminate
in campagna o lungo il mare
andando, andando
come se volessi mai scordarla
la misura di te, della tua isola.
Nella pace di albe profumate
di tramonti oro e solide amicizie.
Che nessuno possa stringere nel pugno
la tua vita, o quella dei tuoi figli.
Non sai l’adattamento né la resa,
per te è solo questione di distanze,
pensando alle genti di Barbagia
per secoli alla larga dai romani
e dagli altri invasori.
Sai che politica e potere
divorano sé stessi
ma si rigenerano.
E tu sollevi gli occhi ogni giorno
a quel sole che danza lento
con l’intera galassia,
a quella luce mai diversa
mai uguale a sé stessa.