Archive for marzo 2010

“La casa viola” di Marco SCALABRINO. Con una recensione di Antonio FIORI

lacasaviola2

La casa viola

 

Staiu

na casa

cu li naschi viola.

 

Stulani

a conza

di collamitina.

 

E lampi

e trona

pi viviruni.

 

 

La casa viola

 

Abito

una casa

con le narici viola.

 

Inquilini

a prova

di colla d’amido.

 

E lampi

e tuoni

in terrazza.

                         Trad.  Maria Pia Virgilio

 

 

 

The purple house

 

I live

a house

with purple nostrils.

 

Tenants

stiffed

with corn starch.

 

And lightnings

and thunders

in the terrace.

                           Trad. Tony Di Pietro

 

 

*

 

Frivaru

 

Suli-pigghialu

di Frivaru.

 

Nta na seggia di juncu

a stenniri

l’arma mia

agghimmata.

 

 

Febbraio

 

Sole incerto

di Febbraio.

 

Su una sedia di giunco

è stesa

l’anima mia

ingobbita.

                            Trad. Maria Pia Virgilio

 

 

Février

 

Soleil incertain

De Février.

 

Sur un siège de jonc

Est étendue

Mon ame

Bossue.

                  

                             Trad.  Hédi Bouraoui

 

 

Febrero

 

Sol incerto

de Febrero.

 

Mi alma

entorpecida

se extiende

sobre una silla de junco.

 

                       Trad. Margarita Feliciano

 

 

*

 

 

Latru

 

Arrubari na cicara di tempu.

P’arristari

LATRU

pi sempri.

 

 

Ladro

 

Rubare una ciotola di tempo.

E rimanere

LADRO

per l’eternità.

 

                     Trad. Maria Pia Virgilio

 

Voleur

 

Voler une énticelle au temps.

Et demeurer

VOLEUR

Pour l’éternité

                        

                      Trad. Hédi Bouraoui

 

 

*

 

 

La casa viola

di Marco Scalabrino

Edizioni del Calatino

Castel di Judica (CT)

2010 – pagg.100

 

Chissà, forse è proprio questa la strada da prendere: un coraggioso plurilinguismo che dia al testo altri respiri, e nuovi lettori. Le traduzioni possono anche essere amicali, affettuosamente improvvisate, purché siano, come in questo caso, di traduttori madrelingua e frutto di autentica empatia col testo d’origine. Marco Scalabrino dimostra qui un consolidamento della sua poetica: il verso è asciutto ma gronda di significati, la parola è semplice, spesso arcaica, ma meditata, improvvisamente simbolica. Una poesia che distilla dalla vita e dalla storia la sua filosofia essenziale, che ha col linguaggio un rapporto umile e insieme orgoglioso, rispettoso ma anche aperto a soluzioni originali (Indiani, Sapuni n.° 5, Ctrl+alt+canc, Faddacchi). Flora Restivo, nella sua bella introduzione, estende lo sguardo su tutta la produzione del poeta trapanese, ricorda la sua battaglia per la dignità del dialetto, la coerenza del suo percorso, la visione etica dell’esistenza.

 

Meritano un particolare apprezzamento Battaria (Frastuono), dedicata proprio alla Restivo, testo in equilibrio tra normalità descrittiva e singolare efficacia comunicativa, i quasi-haiku Frivaru e Latru, la suggestiva Figghi, la ‘militante’ C’è. La poesia eponima, La casa viola, è sicuramente una delle più significative della raccolta ed è di grande qualità espressiva. Il grumo del non detto è percepito immediatamente dal lettore, lievita subito da questi versi brevi e visionari. Luogo quotidiano delle battaglie e delle rese, La casa viola, è  l’emblema dello ‘ spinoso lirismo ’ ( F.R.) della poesia di Marco Scalabrino.

 

 

Antonio Fiori

SI!

1606199669Pulcinella

 

Volete voi ancora una forza politica capeggiata da chi, a dispregio del principio di uguaglianza, ha modificato codici e introdotto leggi per evitare processi e giudizi a lui sfavorevoli?

Volete voi ancora credere al partito dell”amore” rappresentato da chi ha guadagnato nel 2009 quasi dieci milioni di euro in più rispetto all’anno precedente, mentre l’emorragia di posti di lavoro procede inarrestabile insieme alla miseria crescente?

Volete voi ancora credere a una coalizione politica presieduta da chi ritiene che un grande problema del paese siano i “comunisti e i magistrati politicizzati” che complottano contro il premier impedendogli di governare?

Volete voi ancora credere a una forza politica che ha messo in atto un’accorta strategia di competizione e selezione della specie – privando la scuola pubblica, le forze di polizia, l’amministrazione della giustizia e tanti altri soggetti pubblici e privati di risorse sufficienti a garantire diritti elementari e parità di trattamento – dove pochi possono e potranno sopravvivere e prosperare?

Volete voi ancora tenere acceso il televisore continuando a guardare i tg e i (pur salve le non rare eccezioni, pessimi) programmi di Rai e Fininvest assecondando, in questo modo, la trentennale strategia dell’istupidimento, dell’ignoranza e della mistificazione?

Volete voi ancora credere a chi piazzerà a casa vostra, o non molto distante da essa, centrali nucleari notoriamente insicure mettendo a rischio vite umane e specie animali e vegetali necessarie per sopravvivere, e col pericolo che le scorie radioattive uccidano nei decenni successivi i vostri figli e i vostri nipoti e pronipoti?

Volete voi ancora credere in un sistema di cortigiani e privilegiati che ritiene normale che ogni giorno sfilino sulle strade auto che arrivano a costare quanto dieci anni e più di lavoro mentre voi, senza lavoro, o con le vostre competenze e il vostro lavoro onesto, dovete vendervi la vostra modesta utilitaria non riuscendo più a pagare né benzina, né tasse né assicurazione?

Volete voi ancora credere – voi che vedete bene come stanno le cose ma non credete ormai più in nulla – che ad altri spetti, e non a voi, porre fine a questo sistema politico e sociale profondamente iniquo e avvilente spacciato per democrazia, e non siete perciò andati a votare invece di dare fiducia a partiti e coalizioni, se non migliori, meno censurabili delle altre nella loro condotta politica?

Mal trovati nel paese di Pulcinella!

Pablo Armando FERNANDEZ – Poesie

Pablo Armando Fernàndez

Città

Città, chi cancellerà
i miei passi, i miei stupori?
Ricorderanno il giorno
che pranzai in un albergo,
entrai in un teatro,
o errabondo
seguii della notte
i passi frettolosi?
Sapranno che vagai, stretto
il cuore per non lasciarlo,
fra la folla,
rotolare, gridando: “vi amo”,
per ponti e vicoli solitari?
Penseranno che vi incontro,
vi saluto e accompagno nell’ultimo viaggio?
Solo per me la veglia?
Città, nessuno sa
che siete grandi sepolcri.

*

Parabola

Mia madre vuole che io sia felice, vuole
che sia giovane e allegro;
un uomo che non tema il passare degli anni,
non tema la tenerezza né il candore
del bambino che dovrei essere
quando mi tiene per mano e la sento ripetermi
-per non dimenticarle- questa e altre nozioni.
Mia madre non vorrebbe vergognarsi di me.

Mia madre vuole che non menta, vuole
che sia libero e semplice.
Non vorrebbe vedermi soffrire
perché la paura e il dubbio
sono mali che patiscono gli adulti,
e lei vuole che io sia il suo bambino.

Chiunque ci vedesse
non la capirebbe: per età coincidiamo
-non vuole che lo dica-
anche se lei mi diede la vita
quando aveva gli anni che oggi ho io.

Potremmo essere fratelli, lei un po’ più grande
potremmo essere amici: la sua memoria e la mia
corrispondono a un tempo in cui entrambi fummo giovani.
(Io ero più piccolo, ma nel ricordo la vedo cantare felice
fra noi figli, condividere la nostra infanzia.)

Mia madre vuole vedermi lottare a ogni ora
contro il dolore e la paura.
Soffrirebbe se sapesse che alla mia età,
la sua d’allora quando mi diede la vita,
io sono il suo vecchio padre e lei la mia dolce bambina.

*

Imparando a morire

Mentre mia moglie e i miei figli dormono
e la casa riposa dal via vai familiare,
mi alzo e rianimo gli spazi tranquilli.
Faccio come se loro –i miei figli, mia moglie-
fossero svegli, presi
dalle attività che riempiono i loro giorni.
Vago insonne (o sonnambulo) chiamandoli, parlando loro;
ma nessuno risponde, nessuno mi vede.
Raggiungo la più piccola delle mie bambine:
parla alle sue bambole, non bada alla mia voce.
Il maschio entra, abbandona la cartella da scolaro,
dalle tasche estrae il suo bottino:
i trucchi di un prestigiatore.
Vorrei condividere la sua arte e il suo tesoro,
vorrei essere con lui, va oltre:
non bada al mio gesto né alla mia voce.
A chi mi rivolgo? Le altre mie figlie, dove sono?
Giro per la casa giocando a farmi trovare:
Sono qua!
Ma nessuno risponde, nessuno mi vede.
Mie figlie nei loro mondi seguono un altro tempo
Dove sarà finita mia moglie?
La sento in cucina, l’acqua scorre,
profuma di foglie di coriandolo e di alloro.
E’ di spalle. Guardo i suoi capelli,
il suo collo giovane: lei vivrà…
Voglio avvicinarmi ma non oso
-profuma di spezie, di dolce appena sfornato-:
e se volgendo lo sguardo, non mi vedesse?
Come un attore che dimentica d’improvviso
la sua parte nella scena,
disperato grido:
Sono qua!
Ma nessun risponde, nessuno mi vede.
Finché arriva il giorno e con la sua luce
finisce il mio esercizio di imparare a morire.

*

Pablo Armando Fernàndez
ACQUE ERRANTI. Poesie da “All’Hudson” a “Tharros”
Edizioni della sabbia (Sassari, 1998)

A cura di Laura Luche e Teresa Fernàndez

*

Pablo Armando Fernàndez (Delicias, 1930) è una delle personalità più alte della letteratura cubana del ‘900. Insignito di prestigiosi riconoscimenti letterari, ha al suo attivo numerose opere poetiche e narrative. Fra queste si distinguono i romanzi Los Ninos se despiden (1968), pubblicato in Italia col titolo Isola, isole (Jaca Book, 1996), El vientre del pez (1983), Otro golpe de dados (1992) e il libro di racconti El talismàn y otras evocaciones (1995).

LA POESIA NELLA RETE. Spazi virtuali e immaginari poetici

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PoesiaPresente e Poesia teXtura Festival 2010

Per il terzo anno consecutivo le associazioni Mille Gru (PoesiaPresente) e delleAli (Poesia teXtura Festival) incrociano le proprie strade. Dopo aver presentato, per la prima volta insieme, Mariangela Gualtieri e Mauro Ermanno Giovanardi (poesia e musica – 2008) e “Fra le mura”, di Maria Arena, con Rosaria Lo Russo e Daniela Orlando (poesia e danza – 2009), quest’anno il festival indagherà il rapporto tra “poesia, arti visive e nuove tecnologie” con Nanni Balestrini, Giovanni Fontana, Stefano Massari e Giacomo Verde (che per teXtura terrà anche un video-laboratorio).

La terza serata è dedicata espressamente al rapporto tra poesia e rete:

LA POESIA NELLA RETE

Spazi virtuali e immaginari poetici

A cura di Sebastiano Aglieco e Francesco Marotta

Vimercate, Biblioteca civica, piazza Unità d’Italia 2 g

Sabato 17 aprile ore 15/19

1

INTRODUZIONE: UN DISCORSO A MONTE E UN DISCORSO CHE PROSEGUIRA’

Workshop di Bazzano

Poesia e nuovi media.

Verona 24 aprile 2010 (Alessandro Ansuini)

2

POECAST

(Matteo Fantuzzi)

Una mappatura emozionale del contemporaneo

Poecast (Vincenzo Dalla Mea)

Rebstein (Francesco Marotta)

Blanc de ta nuque (Stefano Guglielmin)

Compitu re vivi (Sebastiano Aglieco)

3

RIVISTE IN RETE, SPAZI, ASSOCIAZIONI, RUBRICHE

1. Poesia Corriere (Ottavio Rossani)

2. Nel verso giusto (Nicola Vacca)

3. Anterem

4. Atelier e Il cielo di Marte (Marco Merlin)

5. La Gru e Carta Sporca (Davide Nota)

6. Il primo amore

7. Pagina Zero e Cattedrale (Paolo Fichera)

8. Ali (Gian Ruggero Manzoni)

9. Il foglio clandestino (Gilberto Gavioli)

10. Land Magazine e Carta Bianca (Stefano Massari, Sebastiano Aglieco)

 

4

CASE EDITRICI IN RETE

11. UlisseOmbretta Diaferia)

21. Il ponte del sale e Carte Sensibili (Fernanda Ferraresso)

22. La costruzione del verso e L’arcolaio (Gianfranco Fabbri)

23. puntoacapo (Mauro Ferrari)

24. La vita felice (Gerardo Mastrullo)

25. Fara Poesia (Alessandro Ramberti)

26. Kolibris (Chiara De Luca)

27. Le voci della luna (Fabrizio Bianchi)

28. Il mare a destra (Massimo Ghezzi)

29. Lietocolle (Diana Battagia)

30. Aìsara e la sua giovane collana di poesia (Daniele Pinna); due giovani autori: Greta Rosso Alessandro Giammei

31. Limina mentis (Ivan Pozzoni)

5

BLOG COLLETTIVI

1. La poesia e lo spirito (Giorgio Morale)

2. Via delle belle donne (Antonella Pizzo)

3. Absolute Poetry (Luigi Nacci)

4. Nazione indiana

5. Poetarum Silva

6

SPAZI PERSONALI

1. Tra nebbia e fango (Enrico Cerquiglini)

2. Poesia da fare (Biagio Cepollaro)

3. Margo (Mauro Germani)

4. Il sito di Luigi di Ruscio

5. Spazio Zero (Liliana Zinetti)

6. Il blog di Enrico De Lea

7. Il blog di Giovanni Nuscis

8. Il sito di Marco Fregni

9. Il blog di Maria Pia Quintavalla

10. Il blog di Christian Sinicco

11. Dedalus (Fabrizio Mugnaini

12. Imperfetta Ellisse (Giacomo Cerrai)

8

DALLA RETE ALLA CARTA STAMPATA

due esperienze di critica letteraria e due antologie

1. RADICI DELLE ISOLE, di Sebastiano Aglieco

2. SENZA RIPARO, poesia e finitezza, di Stefano Guglielmin

intervengono i curatori della collana di poesia, saggistica e traduzioni “Sguardi”: Gabriela Fantato, Luigi Cannillo, Corrado Bagnoli

3. LEGGERE VARIAZIONI DI ROTTA, 20 poeti dal blog Liberinversi

(intervengono Massimo Orgiazzi e l’editore Fabrizio Bianchi)

4. A.A.V.V. Antologia TAGGO E RITRAGGO (Ed. Lietocolle, 2010) a cura di Gianpaolo G.

Mastropasqua, Mary B. Tolusso, Anna Toscano. (Intervengono Diana Battagia, Gianpaolo Mastropasqua)

INTERMEZZI

1

PROGETTI DI LETTURA

1. Oboe sommerso (Roberto Ceccarini)

2. Podcast

3. Farhenheit

4. Radio 3 suite

2

VOLTI E VOCI da Youtube

Assunta Finiguerra

Anna Maria Farabbi

Giuseppe Ungaretti

Jolanda Insana

Patrizia Valduga legge Rebora

Amelia Rosselli

Andrea Zanzotto

Milo De Angelis

Roberto Sanesi

Giorgio Caproni

Alda Merini

Rimbaud

Baudelaire

Stefano Massari

Massimo Sannelli

Antonella Anedda

Franco Loi

Eugenio Montale

Pasolini

Dino Campana

Gabriele D’Annunzio

Dino Campana

Mayakosky

Dante

13. Epitaffi (Bianca Madeccia)

 

7

SCOPERTE

12. Adiacenze e Milano Cosa (Adam Vaccaro)

13. Anarchica

14. Poeti e poetastri

15. Nabanassar (Gianluca D’Andrea)

16. A briglia sciolta

 

17. Il blog di Poesiapresente (Mario Bertasa )

18. MOLTINPOESIA (Ennio Abate)

19. Poiein

20. Joker e La clessidra (Sandro Montalto)

 

setteanelli

profilo di un cappello

Marina Girardi

Giampaolo De Pietro

Alberto Frappa

 

 

LA POESIA NELLA RETE

spazi virtuali e immaginari poetici

21 marzo. Nessuna festa, sempre festa.

hanami-lots

Non esiste festa per i poeti. Ogni giorno è festa, per loro. E dunque, festa sia anche oggi, 21 marzo, primo giorno di primavera. I poeti stanno fuori dal coro. Nessun coro, a dire il vero, li ama. Il potere graziosamente li tollera, anche perché poco o nulla incidono nei suoi disegni. I poeti stanno appartati, bastano a sé stessi. I poeti non si curano di premi e riconoscimenti, ma tengono anche loro famiglia. Cercano in sé stessi e nel mondo, intorno, il senso del vivere; compulsandola, la vita, con dita di versi, generando, senza saperlo, filamenti invisibili tra cose e persone, tra tempi lontanissimi. I poeti non chiedono nulla, nulla si aspettano, grati però di ciò che gli arriva.

Nessuna festa, sempre festa.

“Il verso del moto” di Narda FATTORI. Con nota di lettura di Flora Restivo

Hopper donna alla finestra

Il vento è penetrato nel nido
ha sparigliato fili intrecciati a conca
avanzo dentro
una deriva di steli e di stecchi
ferite a vista abrasioni
le membra sciolte e incolte
come i fondi di caffè
alla turca bevuto in Macedonia
navigazione a vista
e sempre maldestra
fra scienza e nescienza
fra il fare e il pensare.

Mi siete compagni di viaggio
voi che non v’arroccate
e solo tenete
iI bagaglio a mano
sandali ai piedi da pellegrino
e ossa dure da scheletro
che non cede al fango.

*

L’ombra degli assenti
nella penombra della sera
proietta forme scure
contro il soffitto bianco.
La scontorno stupefatta
posso passarci dentro
nidificare nel vuoto quieto.

Sull’artrosi delle spalle
eseguite tutte le condanne
porto pesi piume affetti
piccole esistenze da nulla
un buco – un mondo intero
e tu sorella tu fratello.

Allora voi restatemi presenti
col profumo dei gesti noti
contro il gran rumore del mondo
che va peripeziando sghembo
senza una meta nota
e sgomma romba ciarla
cacofonie in conflitto
antifone del tempo.

*

Non è mai morta la bambina che fui
si stringe a me con i suoi sogni
sbrindellati
e quanto dolore quanta rabbia
quanto disperato amore…

All’orizzonte della mia sera
si sfilacciano bianchi cirri
strade senza meta
porte che restano chiuse
ma tengo in pugno ben serrati
i sassolini per il sentiero perduto
raccolti dalla bambina

ad uno a uno li lascio cadere
fra l’uniforme grigio
un sassolino bianco
che occhieggia malandrino

sono punti sul rigo
pensieri a capo
ricomincia ogni volta la lenta marcia
sempre all’indicativo presente.

*

Appoggio su un fianco
tutta la mia tristezza
perché non pesi su nessuno
e faccia sponda al mio stare.

E’ giorno di quieta solitudine
quasi beato
risuona la mia sacca di parole
una musica dolce di tregua
anche la soldataglia riposa
anche il dolore ha stanchezze.

Non so dire che cosa
mi rincuori se il bocciolo
del pesco o un canto di mamma
cosa rincuori il mio cuore
se questa nuova preghiera
se questo amore che tace
e mi mette intorno la pace
la pace tutt’intorno.

*

I crepuscoli d’ottobre scendono
rapidi e scavano voragini
sotto le mura dove ridevano i ragazzi

sorridono a spot le ore.

Francesco non ce l’ha fatta
e non chiedere ragione
per il suo salto nell’altrove
ora il suo letto è calmo.

Non c’è impervio da scalare
non una luce manca ci sono abbagli
spessi ceroni sulle piaghe
e noi conformati d’occidente
attendiamo al supermercato
con le borse piene e le unghie curate
che non lasciano graffi visibili

nessuno più è mansueto
siamo stati ghermiti ai saldi
irraggiati dentro i neuroni
e la corrente ci porta
come i topi di Hamelin

e intanto continua il passeggio
d’autunno sui viali
di tigli miti e bruniti
che nascondono Vespero
appena levata
solo sulle fredde vette
la notte è scura e diamantina.

*

Conosco la memoria dei muri
i pesi che gravano
era solo ieri che cantavo
nei cortei di maggio
a gota piena a capelli sciolti
so che tornerò ad incontrare
quello che foste
amici di pizza e di birra
sola
come una dimentica anguilla
a nuotare verso
quale la foce
quale ruscello…

Mi ricordo leggera
a tratti corale senza pudori
la vita che respirava dai porieE volava … volava
come quel cardellino
a cui hanno sparato
all’alba di ieri
una rosa di piombo.

*

E’ rimasta la devozione
a questa mitezza di azione
mentre il pensiero s’adombra
rumoreggia
come un calabrone
chiuso sotto un bicchiere

la mia parola dura un respiro
s’appoggia ad un foglio
non mente non sana
si ripete
senti l’eco? A quale segno
a quale arsura
dentro quale gabbia
mi avrà il giorno finale?

Mi è rimasto un nome
da usare con parsimonia
il mio inizio e la sua fine
e non attendo
nessun altro
battesimo.

*

Narda FATTORI
Il verso del moto
Mobydick (Faenza, 2009)
Prefazione di Anna Maria Tamburini

*

Dei cinque volumi di poesia finora pubblicati da Narda Fattori, ne conosco tre, quindi più della metà e nessuna delle sillogi ricalca le precedenti, pur mantenendosi intatte le strutture portanti della sua scrittura.
“ Il verso del moto”, mi appare maggiormente diretto alla semplificazione del discorso poetico, molto più aperto alla lettura delle sue intime riflessioni, di donna, di madre, di artista che lavora con e sulla parola.
Ho già detto, recensendo un altro bravo poeta suo conterraneo, di come la poesia emiliano –romagnola abbia delle peculiarità che, pur nelle ovvie differenziazioni, accomuna i veri poeti di questa matrice.
C’è la voglia di parlare di sé, ma non per esibire, piuttosto per operare un lavoro di demistificazione dalle artificiosità di cui è infarcita tanta parte della produzione poetica dei nostri giorni.
Credo di poter sostenere che la Fattori, in questa silloge, raggiunge punte di semplicità talmente raffinate da scombussolare l’anima: “Si fa dappresso il tramonto/ che allunga le sue ombre/ fra le zittite fronde della sera”.
Come non riconoscersi in questi versi, come non riconoscere il nostro personale tramonto e quello dei nostri ideali, il palpito segreto e inquietante, l’eco di mille domande rimaste senza risposta?
Onestamente, poco mi importa che l’opera sia divisa in quatto o quattrocento movimenti, questa è solo una scelta dell’autrice, che non mi sento di apparentare al “guscio di una chiocciola o all’apice di una conchiglia” , come mi è capitato di leggere in una colta recensione che le è stata dedicata, ma certo è una mia grave manchevolezza.
Io non faccio il critico letterario, vado in fondo a ciò che leggo in modo viscerale e, visceralmente ho amato questa silloge, così che essa si è trasferita ai piani più alti e nobili, al cuore, al cervello, senza perdere un grammo della sua scaturigine primigenia.

C’è nei versi della Fattori, un mix affascinante di suggestioni foniche e una solidità discorsiva che si snoda in percorsi lirico-intimistici di particolare interesse.
Ci sono momenti in cui dialoga con il suo stesso mezzo espressivo: la parola, ne fa un essere quasi dotato di volontà propria”Fu così che ti conobbi e ti volli/parola/ ora ferita e riarsa sottotraccia e io a cercarti/per un rigo di senso.”
In altri momenti si scioglie in spasimi di una disincantata visione d sé, nella sofferenza di un esistere dolente, ma fiero: “come sogliola mai mi nascosi/sotto la sabbia per sfuggire/ai pescicani voraci/, rivendicando il suo diritto anche all’errore:” Non ho visto il faro/non ho saputo vederlo/non ho voluto vedere/”
Apre, poi, al suo mondo, chiama le persone per nome, come se noi conoscessimo
Rossella che si è “ punta un dito, per una bacca”, mentre esordisce con magico:” Il vento s’è posato sul silenzio dei rovi”, la vecchia Malvina che stira, il viso grinzoso solcato da una lacrima, Roberta, il piccolo Edoardo e la sua manina di rosa a lenire i graffi, tutto quanto è per lei vita, palpito, tensione, viaggio interiore, sofferta consapevolezza che giunge ad un estremo, quasi autolesionistico “Oh poter avere una cataratta/ben scesa sull’iride”/, finanche questo, pur di non vedere “ la nefandezza dei giochi nei cortili del mondo” .
Il percorso compiuto fin qui dalla poetessa è stato pieno, ha compreso luoghi inospitali e raccolte oasi, momenti di afflato mistico in cui ha stretto fra le mani preghiere, seppur caduche e altri in cui ha desiderato quasi trasformarsi in un elemento non umano acqua canterina sui sassi/trota argentea alla corrente/granello minuscolo di sabbia”/, un vissuto consapevole e perciò stesso intriso di scoperte che determinano la misura dell’essere e dell’essere immersi nel reale.
Da tali scoperte, dopo mille disincanti, ecco il guizzo di luce: “ A fine corsa giunta/mi solleverà l’amore/con braccia salde/dentro una nicchia di sole”.
E poi, teneramente straziante:”Sarà un’uscita in silenzio/ senza sbatter d’imposta/ composta e nuda”.
“Composta e nuda”, in questi due aggettivi si connota la scrittura di Narda Fattori, ma essa è tanto di più fra questi estremi, è pane e “briciole di uovo sodo”, è triste consapevolezza:” i figli non sono amore/ che si strappa ma abitudine/di letti da rifare.”, è naufragio di tempo, di stelle, di speranze e noi siamo “cieli capovolti”, scombussolati viandanti a cui “succede a volte di svoltare/ l’angolo che non porta da nessuna parte.”

Non scoprirò certo l’acqua calda rilevando le peculiarità stilistiche e la padronanza dei mezzi tecnici presenti nella silloge, l’uso sapiente e mirato che l’autrice ne fa, questo potrebbe essere più adatto laddove si trattasse di una scoperta, ma Narda Fattori è un punto fermo nel panorama poetico dei nostri tempi e “ Il verso del moto”, mi appare opera completa ed estremamente matura, onnicomprensiva nel significante e nel significato.
Mi piace chiudere, timorosa di essere prolissa, con questo suo messaggio:”La signora che mi attende/ non ha fattezze da assassino/ quieta mi serra le labbra/ mi aggiusta il cuscino/proverà il rispetto che mi deve”.
Per noi tutti affinché ci sia comprensibile e familiare “il verso del moto”.

Flora Restivo

Questione di fiducia

“Ora dovrò metterci la faccia“: della serie, come continuare a difendere l’indifendibile. Leggi ad personam, attacchi alle istituzioni (Capo dello Stato, Magistratura, Corte costituzionale, CSM,  Pubblica amministrazione), abuso di decretazione d’urgenza con svilimento del ruolo del Parlamento (la cui imprescindibile dialettica interna, per trenta provvedimenti  sui quali è stata posta la fiducia, è stata impedita), emorragie di denaro pubblico a vantaggio di una ristretta élite di imprenditori e di categorie sociali, scelte politiche ed economiche fortemente contestate da una parte considerevole di cittadini (su scuola, giustizia, energie alternative, lavoro, emigrazione, ordine pubblico e sicurezza), schiacciante controllo sull’informazione privata (essendo il premier proprietario, direttamente o indirettamente, di emittenti televisive e testate giornalistiche) e pubblica, ridotta a una funzione di normalizzazione e giustificazione dell’inaudito. E da ultimo, il decreto di interpretazione autentica di una norma elettorale a esclusivo vantaggio della coalizione governativa. E’ vero: tutti i cittadini devono potersi riferire, nel loro diritto di voto, a un partito e a candidati in cui si riconoscano. Ci si chiede però se anche i governi precedenti abbiano licenziato provvedimenti simili utili solo alle rispettive coalizioni; se abbiano avuto la stessa condotta di questo governo. La risposta è no. Nessun governo di centro e di centro-sinistra è mai arrivato a tanto. Hanno incarnato anch’essi, certo, chi più chi meno, i vizi e i difetti di questa società ma senza mai esondare negli abusi e negli arbitri anzidetti.

Come elettori non ancora rassegnati a questo stato di cose, ci si chiede come uscire civilmente da un incubo che dura anni, evitando tragedie o lo sfascio totale. Il patto di fiducia e di rappresentanza reale tra la comunità e chi la governa è saltato, è stato tradito, non vi è dubbio; e ne fanno le spese anche coloro che avevano creduto nell’attuale coalizione. Ma va detto che un uomo solo nulla avrebbe potuto e potrebbe senza l’azione congiunta di centinaia di parlamentari e di decine di ministri, e di una classe dirigente ambiziosa e pronta a tutto, per ottenere e conservare privilegi: costoro, che difendono ora a spada tratta la condotta pubblica e privata del premier, giureranno di averlo fatto in buona fede, di averci creduto,  o di esserci stati costretti, intanto che s’apprestano a saltare sul carro di un nuovo leader.   Ci piacerebbe vedere almeno una prova di decenza da parte loro: iniziando a negare il proprio voto o il proprio sostegno alle  iniziative largamente contestate, quelle che feriscono il senso di giustizia dei cittadini. Anche se il peggio è stato fatto. In questo modo, le istituzioni potrebbero non essere più l’azienda con l’amministratore delegato a cui rispondere, ricordando che: ”Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione (da intendersi nella sua interezza, non solo rappresentata da una  parte politica) ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (Art. 67 Cost).

Cinque anni sono una misura equa per consentire a un governo di imprimere un’efficace azione riformatrice e gestionale, coerente con le aspettative della comunità e nella cornice degli alti principi vigenti al momento del suo insediamento. Cinque anni diventano però un tempo insostenibilmente lungo quando i bisogni di milioni di cittadini vengono palesemente ignorati a vantaggio di quelli personali del premier e di coloro che lo sostengono. Quei cinque anni sono un pezzo di vita che non torna, e a cui nessuno vorrebbe rinunciare. Sempre meno ci si limita a sperare che finisca l’incubo, quanto prima, e si riprenda a lavorare per un cambiamento reale a beneficio di tutti.  Un sentimento di rabbia e di ribellione sta prendendo sempre più consistenza; e malgrado il soffocamento dell’informazione televisiva – quella, ahinoi, di più immediata fruizione, di cui si nutre la maggior parte degli elettori – le notizie circolano e si propagano nella rete a grande velocità; nei blog, nei siti, nei social networks  nascono gruppi che polarizzano migliaia di persone, a difesa dei propri diritti o aderendo ad appelli o a forme di protesta; si discute, ci si confronta, si pensano nuove e più efficaci strategie di incidenza sociale e politica. Un fenomeno destinato a crescere in misure e forme imprevedibili. Nell’ombra, sotto la superficie della realtà conosciuta, un altro mondo si si sta organizzando e potenziando, e potrebbe esplodere su quello sovrastante, inghiottendolo e sostituendolo. Come già detto in altre occasioni, è necessario lavorare subito a grandi progetti di cambiamento, se si vuole evitare che dal caos i mediocri ritornino e sopravanzino, drammaticamente, di nuovo.

Rainer Maria RILKE – Poesie

rainer maria rilke

 

Un vento di primavera

Con questo vento viene destino; lascia,

lascia che venga tutto ciò che preme, cieco,

di cui noi arderemo -; tutto questo.

(E resta immobile perché ci trovi).

Porta il nostro destino questo vento.

Da chi sa dove questo vento nuovo,

sbandando sotto il peso di cose senza nome,

porta sul mare quello che noi siamo.

…Oh, se lo fossimo. Saremmo a casa.

(Vedremmo scendere e salire in noi i cieli).

Ma ogni volta con questo vento passa

il destino oltre di noi immenso.

*

Passeggiata notturna

Niente è paragonabile. Esiste forse cosa

che non sia tutta sola con se stessa e indicibile?

Invano diamo nomi, solo è dato accettare

e accordarci che forse qua un lampo, là uno sguardo

ci abbia sfiorato, come

se proprio in questo consistesse vivere

la nostra vita. Chi si oppone perde

la sua parte di mondo. E chi troppo comprende

manca l’incontro con l’Eterno. A volte

in notti grandi come questa siamo

quasi fuor di pericolo, in leggere parti uguali

spartiti fra le stelle. Immensa moltitudine.

*

Canto delle donne al poeta

Siamo come ogni cosa che si schiude,

e nient’altro che questa beatitudine.

Ciò ch’era sangue e buio in una belva

crebbe in noi per farsi anima e si tende

ancora a te, fatta anima, e ti chiama.

Tu, certo, la ricevi nel tuo viso

come un paesaggio, mite e senza brama.

Perciò crediamo non sia tu cui mira

il nostro grido. Eppure, in chi vorremmo

se non in te, perderci senza fine?

In chi, più che in te, cresce il nostro essere?

L’infinito con noi passa e si perde.

Sii tu la bocca che ce lo fa udire,

tu sii: tu che di noi dici l’essenza.

*

Esperienza della morte

Come ho patito ciò che ha nome addio.

E ancora so: un oscuro, implacabile, un crudele

qualcosa, che una forma in armonia composta

mostra ancora una volta e porge e lacera.

Come indifeso la guardavo mentre

lasciandomi partire mi chiamava e restava

quasi fosse tutte le donne in una,

ma bianca e piccola e non più che questo:

un saluto già non più a me rivolto,

replicato in silenzio – quasi già

inesplicabile: un susino forse,

onde un cuculo spiccò brusco il volo.

*

Rainer Maria RILKE

Poesie 1907-1926

Einaudi 2000

(I quattro testi sono stati tradotti da Giacomo Cacciapaglia)

Stefano Guglielmin su “La parola data”

Ringrazio Stefano Guglielmin per il suo intervento su "La parola data" apparso sul suo blog Blanc de ta nuque

Malgrado La parola data (L’arcolaio 2009), di Giovanni Nuscis, metta in epigrafe, citando Ranchetti, la supplenza del vedere all’esser vivo, sceglie poi la pratica della parola quale decisa viandanza nell’intrico quotidiano del senso, un andare tracciando strade in quell’inquieta penombra che è il presente della comunicazione. La possibilità di vedere, presuppone dunque la necessità di far chiarezza, emergendo da quanto c’impedisce di stare alla luce, di comprendere quanto ci tocca. Questa poesia sembra infatti ripetere, ad sua ogni svolta, l’atto del nascere al senso e al mondo, quel tempo indefinito del venire a patti con l’imponderabile, la cui falce sempre s’impone attraverso la richiesta di decodificazione. La poesia di Nuscis, insomma, racconta l’eventualizzarsi del senso, lo mette in scena l’attimo prima che condensi e s’irrigidisca, salvandolo in quanto possibilità aperta, dopo che lingua della comunicazione ordinaria ha finalmente svelato la propria vocazione all’incomunicabilità. A partire da questa evidenza, certificata dall’intero Novecento, la parola data non solo si rigenera attraverso la funzione poetica, con tutti i suoi artifizi retorici (mai tuttavia fine a se stessi, e comunque sempre modulati con la sordina), ma, come rileva Roberto Rossi Testa nella prefazione, vuole altresì essere un impegno preso dal poeta stesso (dare la parola, mantenere un impegno preso) nei confronti della comunità, evidenziando così di questi versi la loro radice civile ed etica. Resistenza che si svolge, come detto, anzitutto nella lingua. Per questa ragione, egli non può permettersi sbavatura di sorta, anche a costo di risultare talvolta oscuro, come nella migliore poesia che fa i conti con le forze ctonie della vita. Ecco, appunto: ne La parola data siamo di fronte ad una ricerca che, edificando parole, sfocia nel cuore della vita. (Stefano Guglielmin)