Archive for novembre 2007

“La fede e la paura” di Salvatore MANNUZZU

Georges de La Tour  Giobbe deriso dalla moglie

In onda sul blog La Poesia e lo spirito

La fede e la paura. Lei scrive che “l’antitesi della fede è la paura, più ancora del dubbio”.

Il dubbio è nella natura delle cose di cui stiamo parlando. Io però gli sono particolarmente affezionato: oltre la sua misura logica. Quando scrivo mi viene di partire dall’oscurità, da ciò che so. Forse una storia si può raccontare in due modi: partendo da ciò che si sa o partendo da ciò che non si sa. Io parto sempre da ciò che non so. Non tanto per mia scelta, quanto proprio per come sono diventato. E’ difficile non essere se stessi; guai se si cerca di imbrogliare le carte. Non dico che ci si deve accettare, ma insomma… almeno ci si deve adoperare, per quello che si è e non per quello che non si è.
Chiudiamo la digressione, lei mi domanda della fede e della paura. La fede è gioia, una fede vera, coerente, non può che essere gioia. Se uno crede in Dio gli deve bastare (e avanzare, traboccando: “Io non sono solo, perché il Padre è con me”, Vangelo di Giovanni). Il fatto che non gli basti è segno che la sua fede non è salda, non è piena. Ricordiamo Gesù nell’orto dei Getsemani? Il tentatore, dopo i quaranta giorni del deserto, gli ha dato appuntamento lì: e uno dei suoi argomenti, lì, è la paura. Ma Gesù vince la paura, con sudore di sangue, mettendosi nelle mani del Padre.
Così anche noi se avessimo fede non dovremmo cedere alla paura. Ci dovremmo mettere nelle mani del nostro Dio e lasciargli fare di noi quello che vuole, essendone felici. Io guardo in particolare all’esempio d’una santa che mi è cara, la piccola Teresa di Lisieux. Alla fine della sua breve vita si è messa nelle mani di Gesù, s’è lasciata fare da lui ciò che voleva.
Ma per noi che santi non siamo, la paura è una tentazione continua. La paura come sconfitta del dubbio, resa del dubbio all’oscurità totale, al nulla. Il dubbio mantiene un rapporto – un dilaniante rapporto – con la verità. La paura tende a cancellare una volta per tutte questo rapporto: vuol impedirci di continuare a cercare. Io provo paura sempre più spesso e sempre di più: questo in cui viviamo mi sembra un mondo terribile. Benché io non sappia se ci siano mai stati mondi migliori. […]

Per non cedere alla paura Gesù prega…

La parola ha una radice etimologica parente della parola latina “precarius”: “ottenuto per favore”, “dipendente dalla volontà altrui”, in senso traslato, “incerto”, “malsicuro”, “precario” appunto. Si prega perché si versa in condizioni precarie, perché ci si sente vacillanti, sospesi nel vuoto, al buio, privi di amore quando invece si ha un tremendo bisogno di amore e di luce. Le sofferenze, le prove che ci fanno sbattere il viso sulla nostra vita senza scampo, Dio ce le manda per aiutarci per chiamarci a sé. Così lui ripulisce i tralci di vite che noi siamo, perché diamo più frutto, dice il Vangelo di Giovanni. La letteratura è la presa d’atto, in modi specifici, del nostro comune stato di precarietà e incompletezza. In quei modi specifici, quindi è anche una sorta di preghiera.

(Da: Discorso d’addio – Intervista a cura di Costantino Cossu)

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Salvatore MANNUZZU – “GIOBBE”
Edizioni Della Torre, Cagliari 2007
*

*Il libro contiene la lectio magistralis, incentrata sulla figura di Giobbe, tenuta da Salvatore Mannuzzu all’Università di Sassari nel 2004 in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Lettere e filosofia, oltre a due interviste (di Costantino Cossu e di Maria Paola Masala) e altri scritti e poesie.

Nota biobibliografica

Salvatore Mannuzzu, narratore e poeta, è nato a Pitigliano nel 1930 e resiede a Sassari. E’ stato magistrato e deputato per tre legislature.
Ha pubblicato le seguenti opere:
Procedura (Einaudi, 1988)(PremioViareggio e Dessì )(Romanzo)
Un morso di formica (Einaudi, 1989) (Romanzo)
La figlia perduta (Einaudi, 1992)(Racconti)
Le ceneri del Montiferro (Einaudi, 1994) (Romanzo)
Il terzo suono (Einaudi, 1995) (Romanzo)
Corpus (Einaudi, 1997) (Poesie)
Il catalogo (Einaudi, 2000) (Romanzo)
Alice (Einaudi, 2001) (Romanzo)
Le fate dell’inverno (Einaudi, 2004) (Romanzo)

“Aschi e maravigghi di Sicilia” di Marco SCALABRINO

misteri_trapani

ASCHI e MARAVIGGHI di SICILIA

 

 

Pi nascita, dirittu, cardacìa

di li radichi a la storia

st’ammàttitu m’apparteni.

Sulu tri pilastri

ncucciati cu puzzulana d’amuri

e tennu ‘n-pedi un munnu.

 

Un jornu

russu sulu nna lu me calannariu 

un ancilu

paratu ad arti a l’amu di li stiddi

m’addiccò 

fu na vota e pi sempri

a li soi ali.

 

Successi.

E siddu nun fu spassu 

preju ogni novu mercuri

pi ssu miraculu

e aspettu.

Zoccu autru pozzu fari?

 

Ammuttanu li staciuni

cu soli di coriu sempri novu

e allonganu, a botta a botta

la prucissioni di judici

manetti, tabbuti.

 

Ju zeru

ju laparderi

ju senza travagghiu

ju bucatu

ju sucasimula

ju l’Aids a tagghiu

ju mafiusu

ju cascittuni

ju nuddu spiragghiu

ju … nun lentu mai di bistimiari.

 

Autri a spassu. 

Stu jornu macari.

Ssa frevi ammartuca li mei carni

e mancu un ponti 

luci

pi sbraccari.

 

Mastru Lunniri, scattusu

addimura

e attocca a mia

nun pozzu fujiri.

 

Matri

sapi d’addauru, zorba, marvasia

lu ciuri spajulatu a la to sciara

e lu ciauru

di li naschi, lu sangu, lu senziu

nun si lava chiù.

  

FRAMMENTI e MERAVIGLIE di SICILIA

Marco Scalabrino

           

Per nascita, diritto, batticuore          

dalle radici alla storia

questa combinazione mi appartiene.

Solo tre pilastri    

saldati con pozzolana d’amore

e reggono il mondo.

 

Un giorno

festivo solo nel mio calendario

un angelo

spedito in avamposto dal cielo       

mi avvinghiò 

anima e corpo,

alle sue ali.

 

E’ accaduto.

E se non è stata burla  

prego ogni nuovo mercoledì

ché questo miracolo si ripeta 

e aspetto.

Cosa altro potrei fare?

 

Si susseguono le stagioni

con suole di cuoio sempre nuovo

e allungano una botta dopo l’altra

la processione di giudici

manette, casse da morto.

 

Io nullità

io parassita

io disoccupato

io a rischio Aids 

io cicisbeo

io drogato

io mafioso

io delatore

io disperato

io … non smetto mai di bestemmiare.

 

Anche oggi

qualcuno perderà il lavoro. 

Questa febbre fiacca le mie membra

e non un solo ponte 

s’intravede

per superarla.

 

Mastro Lunedì, dispettoso

s’attarda

e spetta a me 

non ho scampo. 

 

Madre

sa di alloro, sorba, malvasia

il fiore scaturito dal tuo rovo

e il suo profumo

nelle narici, nel sangue, nei sensi

persisterà in eterno.

 

 

“Mitologie private” di Daniela RAIMONDI

Mark Chagall gli_amanti_nel_sambuco

Anche su La Poesia e lo spirito

Mitologie private

 

  

Ah questi uomini con le mani grandi come isole!

Questi giganti di pietra

con nidi che trasudano di fragole e di terra.

Sono solidi come le statue.

Gli orbitiamo intorno, colombe di schiuma

che reclamano una coda di fuoco,

la corona, il coltello.

Ci arrampichiamo lungo le loro ombre altissime

per succhiare le dita alveari,

entrare affamate nelle bocche colme di spore.

Ah questi uomini miracolo!

Uomini totem con la lingua pungente

e i corpi di piume;

corpi magici che domandano preghiere

e ci regalano sogni e bambini.

Dio ha posto fra le loro mani

il delicato ingranaggio di una bambola

ma sono cacciatori di frodo.  Azzannano la cerva,

le succhiano il sangue dalla gola.

Sono bambini che giocano, giocano, giocano.

Cavalcano giostre,

sparano a salve dentro i luna-park.

Ti mettono in moto come un orologio;

sei giri,

la testa infilata in un sacco

e pam, un colpo preciso

nella lampadina del cuore.


 

 

 

Plastic love

 

 

 

[I’m a barbie girl, in the barbie world
Life in plastic, it’s fantastic!
you can brush my hair, undress me everywhere
Imagination, life is your creation
Come on Barbie, let’s go party!
…I’m a blond bimbo girl, in the fantasy world
Dress me up, make it tight, I’m your dolly
You’re my doll, rock’n’roll, feel the glamour in pink,
kiss me here, touch me there, hanky panky…
uu-oooh-u-oooh

[Barbie girl]

 


È pronta in dieci minuti:
labbra rosso ciliegia, riccioli biondi,
ano e vagina di silicone.

È una O sempre aperta –
Biancaneve con tre buchi
sempre pronti ad accoglierti.

Chiamala Samantha, Jessica, Lolita.
Ha il viso rotondo di una bambina,
occhi fissi come una dolce emicrania.

Non brontola.
Una coccabella che non rimane mai delusa
né reclama il suo piacere.
È morbida, elastica,
oleata in ogni ingranaggio.

Inginocchiati. Ammira il suo inguine,
la fiaba del bosco:
ha vibrazioni multiple per un multiplo orgasmo,
Assicura un piacere perfetto.
(It’s good value for money).

Se credi, puoi sfilarle le calze di seta,
strapparle di dosso giarrettiere francesi
e mutande di pizzo.
Puoi gridarle sconcezze,
legarla sul letto, coprirla di lattice nero
e picchiarla

(niente chiodi o coltelli però.)

Umiliala.
Trattala come una dolce puttana.
Fottila come fosse l’amante appena rubata,
la collega dal culo più bello del mondo.

Tocca la pelle. Senti com’è delicata?
Palpale i seni: pura gomma d’Arabia,
capezzoli di acetilene.
(Per questo è molto costosa).
Schiaccia il pulsante

e al giusto momento sarà lubrificata,

temperatura ottimale
e in gola il gemito di una ninfomane.

È Made in China.
Garantita dieci anni con consegna a domicilio.
Practically indistructible.

Per una perfetta durata
risciacquare dopo l’uso.
Ripiegare in un luogo asciutto e nell’ombra.

 

 

 

 


Fabula

 

 

 

Vieni come viene l’amore

così, semplicemente, 

umido e bianco come un morso di pane.

Sei la fame che ci prende la sera

con i negozi chiusi, le saracinesche abbassate.

Ma tu vieni e mi porti cose buone:

pane, frutta, le tue labbra sulla nuca,

qualcosa che fiorisce dentro il sangue.

 

Ho un nervo che mi scava,

rosso e splendente come una rinuncia.

Un pesce che si agita nel ventre,

che batte e batte sulla radice del mondo.

Ma tu vieni, e sconfiggi

il selvatico che ho nella saliva

baci l’invalida,

la donna inchiodata da sempre alla nudità dei faggi.

Doni un coraggio nuovo

per la sete del ventre

per il mio seno che lievita nella tua bocca

per la mia anima di spuma

i miei occhi bucati dal gelo

la favola che mi semini sul corpo.

Per il mio cuore bianco come un osso

per la tua lingua che scava nel purgatorio della carne

per le tue mani che dici troppo piccole.

Per la sola dolcezza delle tue piccole mani.


Invernale

 

 

 

Dormi. 

La mano sul mio ventre e un silenzio intorno

come un campo d’acqua.

La luce del lampione è un’ostia nel cielo,

la notte più nera della bocca di un leone.

 

I nostri velieri non sono ancora tornati

e abbiamo terminato l’acqua,

la legna per il fuoco, il grano.

Ma dormi adesso.

Fuori respira una notte lunghissima.

Gli stivali dei bambini

sono in fila davanti alle porte,

il rastrello e il badile

riposano in fondo al giardino.

 

Non uccideremo l’unicorno,

né la strega che ha rubato tre denari

e vola ridendo sopra i tetti delle case.

La brina splende sul buio dei prati,

un vociare di passeri fiorisce il silenzio.

 


Il pellegrinaggio della neve

 

 

 

Sono la purezza del metallo,

il fuoco asettico degli inceneritori.

Ho nel cuore materiale radioattivo,

un’anarchia di sangue

più spaventosa di ogni calma.

 

Dio grida da in fondo al mio polmone.

È la cantina senza occhio,

una macchina che crea e che uccide.

Dorme dentro il bianco delle ossa,

ascolta il canto di tutte le mie morti.

 

Ho un corpo monacale,

il dono della solitudine.

Sono la fredda calla

l’inizio di una fioritura,

tre petali che succhiano il buio della notte.


 

 

 

La donna dai due cuori

 

 

 

Ho sempre saputo che un bel profilo

conta molto più dell’anima di un sognatore.

E a volte la mia anima è piccola e secca

come il gheriglio appassito nella noce.

 

Nascondo due cuori:

uno fatto di carne, l’altro di rame.

Uno nutre il cervello, ogni cellula e pensiero;

l’altro resta straordinariamente immobile

nel silenzio della carne.

 

Negli anni ho imparato

che la violenza cambia la gente

molto più di quanto possa farlo l’amore.

Sto invecchiando, sto diventando mia madre.

Il mio secondo cuore ha cessato di battere.

 

Ora ho un paio di cose che potrei insegnare alla gente:

come diventare una creatura segnata dalle abitudini,

come far nascere una canzone da un flauto di legno,

o farsi commuovere dal buio, da tutto ciò che è sterile:

la forza di un temporale notturno,

un campo nudo beccato da uccelli misteriosi.

Posso insegnare alla gente

come attraversare la vita con un solo, piccolo cuore.

L’altro fermo,

ossidato, blu-verde

immobile nella sua gabbia di ossa.

Mitologie private di Daniela Raimondi

 

Daniela RAIMONDI

Mitologie private

Edizioni clandestine, 2007

Prefazione di Giovanni Nuscis

 

 

Biobibliografia

Daniela Raimondi è nata in provincia di Mantova e dal 1980 vive in Inghilterra dove si è laureata in lingue moderne all’Università di Londra. Nell’anno 2000 ha conseguito un Master in letteratura ispano-americana. Insegna italiano come lingua straniera.

Ha pubblicato racconti e poesie in diverse riviste letterarie, fra queste: Poeti e Poesie di Roma, La Luna di Traverso, Origini, Poesia, Il Foglio Letterario, Le Voci della Luna e Gradiva – The International Journal of Italian Poetry della Stony Brook University di New York.
Collaboro alla rivista Zeta della Campanotto Editore.

Ha pubblicato:
Nove donne e una zebra metropolitana (Ed. Fonopoli, 2004)
Ellissi (Raffaelli Rimini, 2005)
Inanna (Mobydick Faenza, 2006)

E’ inoltre presente in varie antologie, fra queste:
Lericipea 2005,
I Lunatici (MUP editore, Parma, 2006)
Il prima e il Dopo (Ed. Baldini Castoldi Dalai, 2007)
Poesia del Dissenso II (Joker Edizioni, 2006)
Miramare Città di Rimini 2007

 

E’ redattrice del blog collettivo:

 

http://viadellebelledonne.wordpress.com

 

Ha un blog personale:

 

http://www.danielaraimondi.splinder.com

 

Prefazione

     Mitologie private è la terza raccolta poetica di Daniela Raimondi, dopo Ellissi (Raffaelli, 2005) e Inanna (Mobydick, 2006). Un’opera, questa sua ultima, che sembra confermare una via possibile di riconciliazione tra la poesia e il suo auspicato pubblico, transfuga verso altri generi e altre arti.  

     Il titolo del libro richiama il mithos, e dunque i procedimenti pre-razionali, emotivi, simbolici che racchiudono verità sull’uomo e sul mondo, che l’aggettivo private lega, certo, al fuoco inverante e perpetuante di un vissuto e di un’identità precisa – quella dell’autrice – ma che però assurge a paradigma della storia, del gusto e del sentimento di una comunità più o meno ampia.    

    La raccolta è strutturata in tre sezioni (Mitologie private, Pike e Fabula).  È l’amore il tema che pervade o percorre l’intera opera, ma da diverse prospettive che per nulla indulgono ai buoni sentimenti. Un acuto e doloroso disincanto, infatti, delinea un quadro mitografico – sull’amore e sul rapporto uomo/donna – convincente e alternativo allo stereotipo consunto. Qui una voce potente sembra farsi corifea di una sensibilità e di uno sguardo peculiare di donna sulla condizione delle donne, e non soltanto.

     Per capire subito l’approccio al tema, e la sua forza, basta leggere il testo eponimo della raccolta e della sezione. Parole nette e coraggiose non per reiterare il lamento, o la rabbia, per la sopraffazione storica di un sesso sull’altro, ma, più in generale, per lacerare la buccia, spessa, dell’apparenza, dell’ipocrisia, dell’ottimismo ottundente che teme, o non coglie, la complessità delle relazioni umane, il gioco funambolico ma imperdibile dell’amore, le false deità (“Ah questi uomini miracolo!/Uomini totem con la lingua pungente/e i corpi di piume;/corpi magici che domandano preghiere” (Mitologie private) che l’ironia mette ancor più in risalto. Un richiamo alla chiarezza equilibrato e mai animoso, per il ripristino di una verità che ad ogni gesto e sentimento veda attribuito il giusto nome.

     Il testo che apre la prima sezione, Primitive (Be)longing, ci ricorda l’armonia infranta (“We were/one./ Together./Before the hand of God/separated the earth from the sea/woman from man.”), vale a dire, l’origine del dolore per la scissione da un unico corpo; e la condanna alla ricerca continua, inesausta di sé nell’altro o nell’altra – attratti per desiderio (longing) primitivo di riappartenenza (belonging), per “Ri-fondersi./Tras-fondersi a ciò che era nostro.” Armonia resa ancora più difficile dalla naturale compresenza, in ognuno di noi, di più identità interagenti, come è dato trarre dalla poesia Vita di Lazzaro Colloredo(1617 – 1645), attraverso la metafora – tratta da una vicenda reale – di due fratelli l’uno che trascinava appresso l’altro: “Era nato così. Gli spuntava dal ventre/col corpo attaccato al suo ombelico,/un torso che ondeggiava nell’aria/con la bocca sempre aperta, gli occhi socchiusi/come stesse sognando./ Tanta era la sua bellezza, che si sposò, ebbe dei figli./La notte, Lazzaro spostava la gamba di Giovanni Battista/e faceva l’amore mentre il fratello fluttuava,/gli occhi socchiusi, sulle labbra/qualcosa come un sorriso,/l’intatta coscienza di un feto.”

     Plastic love, nella medesima sezione, sancisce invece una forma di resa – paradossale e multiforme – dall’istinto di ricongiunzione all’altro sesso: per incapacità, per trauma, per sfiducia irredimibile nel rapporto tra sessi. Ripiegandosi così in un più comodo surrogato della relazione fisica: Non brontola./Una coccabella che non rimane mai delusa/né reclama il suo piacere./È morbida, elastica,/oleata in ogni ingranaggio.

     La seconda sezione, Pike, è un poemetto dedicato ad Assia Wevill, la donna che il destino mise in concorrenza amorosa con Silvia Plath, e che Ted Hughes frequentò per anni anche dopo la morte della moglie, generando con lei una figlia, Alexandra Tatiana Eloise soprannominata Shura. La Wevill visse nell’ombra il suo amore tormentato con Hughes, divenuto, dopo il suicidio di Silvia, talmente ossessivo da indurla ad imitarne il drammatico gesto. Pike significa luccio (“Era un luccio gigante”, riferito ad Assia), ma pure lancia: reale e simbolica, quella menata nella carne e vibrata nel cuore delle due donne, uccidendole. Daniela Raimondi entra con sorprendente empatia in questa tragedia, nelle ragioni dei protagonisti ridando loro voce e lamento quasi in contraddittorio: Assia (“Sua moglie è la lupa di Romolo e Remo/il volo nuziale dell’ape regina./Depone bambini grassi sulle rive dei fiumi;/è la grande madre terra – sempre pregna, pregna.”), Ted (“Un uomo ha in bocca la fame mai sazia dei lupi./Ha sempre bisogno di mordere,/di succhiare il sapore selvatico./E il mio sperma impazziva nei lombi,/la nutrivo ogni notte con le gocce dei miei sogni.”), ancora Assia (“Due pastiglie, perfette come una comunione/e orbito fuori dal mondo./Ultimo volo sullo Zeppelin/contro l’irriducibile flusso delle maree.”)

     Per quanto detto, si è tentati di dare alla parola Fabula, titolo della terza ed ultima parte della raccolta, il significato non tanto di genere letterario, ma di fandonia, ciancia. Non si colgono

intendimenti didattici o morali propri della favola in questi componimenti, ma la più blanda espressione del disincanto per il transito e la combustione naturale dei giorni, e dei sogni, e della

cenere e del fuoco che restano, di ogni umana esperienza. L’amore che qui si descrive ha la patina del tempo, l’alone arancio e nero della finitezza ineludibile, del lutto stemperato in nostalgia

per l’assenza di ciò che è stato e non è più, repertato, ora, dai versi in un’invocazione immarcescibile: “Vieni come viene l’amore/così, semplicemente,/umido e bianco come un morso di pane./ Sei la fame che ci prende la sera/con i negozi chiusi, le saracinesche abbassate”. (Fabula); “Stiamo ancora qui,/qualche minuto ancora/dove il respiro è un’ombra./Toccami come se fossi una bambina/come se fossi di luce e di farina./Con occhi tranquilli,/con le dita intinte nel silenzio.” (Qui)

Un amore variegato pervade, dunque, Mitologie private: da quello devastante e mortale a quello già vissuto e che rivive, nei giorni; e quello percorso da un eros incontenibile ed implacabile, originante una tragedia espiatoria (Pike), o da quello in cui la pena è il ricordo insistito, che consuma (“Amore mio, amore mio/rubarti vita, rubare tempo al tempo./Trentamila giorni da vivere/e solo una manciata di ricordi./Ma ogni festa finisce/ogni grido del sangue/vuole la sua canzone a lutto./Vieni, facciamo un grande inchino/dimmi “grazie, mia signora”/e ancora poserò i miei denti sulle tue labbra da lupo.” (Trentamila giorni da vivere). E c’è da ultimo la rinuncia all’amore: “…Un bel profilo/conta infinitamente di più dell’anima d’un sognatore./E a volte la mia anima è piccola e secca/come il gheriglio appassito nella noce/ la violenza cambia la gente/molto più di quanto possa farlo l’amore.” (La donna dai due cuori).

Come detto all’inizio, la scrittura di Daniela Raimondi sembra aver fatto propria l’istanza per una ritrovata esponenzialità sociale della poesia, restando tale – nei suoi connotati di genere – eppure accessibile alla generalità dei lettori. Efficacia stilistica e comunicativa da attribuirsi, crediamo, alla denotazione del segno, alla sua suscettibilità di caricarsi – più che di valenza polisemica – di suggestioni metaforiche o per similitudini, e simboliche, evocative (“Sua moglie è la lupa di Romolo e Remo,/il volo nuziale dell’ape regina.”; “La bocca del forno è un animale buono,/lo sbadiglio di un cane sdentato./La cucina è igienica come un crematorio./Il gas è una sciarpa di seta nell’aria,/ha l’odore pungente delle ascelle di Ted”.).

La poesia di Daniela Raimondi genera ed è generata, spesso, da storie reali o inventate, o da quadri descrittivi di eventi e di sentimenti in equilibri di forma che, come già accennato, non sono né prosa né epigramma; una poesia che s’imprime però nel lettore, saltando non di rado la linea del disegno per sconfinare nel mistero, nell’ambiguità naturale delle cose.

 

Giovanni Nuscis

 

Questo blog è vicino a Sante Bernardi, malato di SLA e assurdamente privato di cure ritardanti la malattia

Lettera aperta al Ministro della Salute Livia Turco

IL BLOG DI SANTE BERNARDI

Sono un malato di sla (sclerosi laterale amiotrofica o malattia dei motoneuroni), mi chiamo Sante Bernardi, ho sessantacinque anni e vivo a Roma.

Com’è noto, è una malattia incurabile, con progressive paralisi degli arti superiori ed inferiori, fino a paralizzarli, per poi attaccare i polmoni; oltre ad una serie di difficoltà obiettive, legate alla

sempre inamovibilità degli arti.

Ho presentato un ricorso, ex art. 700, alla magistratura del lavoro, per ottenere anch’io, come altri malati di sla, l’erogazione, ad uso compassionevole, di una proteina americana che, quanto meno, ritarda gli effetti tragici della malattia.

Ho ottenuto la pronuncia favorevole con un ordinanza, in data 31 agosto 2007, che, trasmessa alla mia ASL, avrebbe dovuto comportare, anche per me, la agognata fornitura.

Senonchè, alcuni zelanti funzionari del suo ministero, hanno interposto ricorso all’ordinanza emessa a mio favore che, nell’udienza del 19 ottobre 2007 presso la Magistratura del Lavoro, è stato accolto, con conseguenze, sul mio precario stato d’animo, quanto mai disastrose.

I giudici che hanno esaminato il ricorso, si sono rifatti ad una pronuncia dell’AIFA che, poiché il preparato non è commercializzato neanche dove viene prodotto, ne ha di fatto impedito l’uso.

Mi consenta il termine, ma e’ una grossa ignominia nei confronti di un malato di sla che riponeva, giova ridirlo, le sue ultime speranze nell’acquisizione della proteina americana (iplex).

Mi trovo in una condizione veramente assurda.

Da una parte ho un’ordinanza che, se fosse stata esperita nei tempi dovuti, non sarei qui a raccontarLe la mia disgrazia ed, in più, ho dovuto subire l’esame di un ricorso che ha rigettato l’ordinanza stessa.

La pregherei di riesaminare, se non altro, i tempi in cui si sono svolti i fatti, invitandoLa a non generalizzare, più di tanto, quanto accomuna noi malati di sla, destinati a fare una fine orrenda.

Tenga presente, per quanto Le è possibile, che ognuno di noi si trascina una propria storia, sulla quale non è giusto fare di ogni erba un fascio.

La ringrazio per quello che potrà fare per me e Le auguro buon lavoro.

Sante Bernardi

Via Corinna,20

00125 Roma

cell.: 3468563251

tel: 0652358254

Premio “David Maria TUROLDO”

david maria turoldoPremio nazionale di poesia

DAVID MARIA TUROLDO

Edizione 2007

Bacheca delle poesie che partecipano

 

 

L’Associazione Poiein, e l’Associazione Lavops di Sondrio, con il Patrocinio del Comune di Piateda (So), al fine di favorire lo sviluppo della cultura sulla rete Internet e per suoi scopi di solidarietà sociale, indice un concorso di poesia a tema libero, con le modalità esposte nel regolamento riportato di seguito.

 

Regolamento

 

1.         E’ indetta la quinta edizione del premio di poesia “David Maria Turoldo”, aperta ad artisti di ogni nazionalità e di ogni lingua, purché i testi in lingua straniera o in dialetto, siano accompagnati da traduzione (letterale o poetica).

 

2.          Gli iscritti partecipano con tre testi mai pubblicati prima del 01 gennaio 2007

             Ogni singola composizione non deve superare i 50 versi (vedi nota).

            Delle opere già pubblicate in volume o raccolte, sarà espressamente indicata la bibliografia (il volume, la rivista, il quotidiano, i siti Internet sui quali è apparsa).  I vincitori delle precedenti edizioni sono esclusi dalla partecipazione al concorso per i 5 anni successivi, ma possono presentare testi fuori concorso, editi o inediti.

             Su specifica richiesta inoltrataci lo scorso anno e quest’anno, l’organizzazione del premio accetta iscrizioni, inoltrate da parenti, di poeti deceduti dopo il 1. gennaio 2002.

             Non si accettano opere firmate con pseudonimo o "nome d’arte", ma soltanto con nome e cognome anagrafici.

             La segreteria del premio, in considerazione anche della statura morale e spirituale del poeta al quale il concorso è intitolato, non accetta testi che siano lesivi della dignità personale, delle convinzioni filosofiche, politiche, religiose di chicchessia, della dignità del corpo umano e degli animali (Pulp, porno-erotismi ed espressioni di disprezzo e/o squalifica del corpo).

 

3.     Ai partecipanti è chiesto, a titolo di donazione, un importo in denaro oscillante da un minimo di € 16 a un massimo a discrezione, in considerazione delle finalità dell’iniziativa.

Tale contributo infatti, dedotti i premi in palio, è destinato allo sviluppo di attività educative e formative nei Paesi poveri, nella convinzione che lo sviluppo dell’istruzione e della cultura è direttamente connessa alla libertà della persona e alla sua auto-realizzazione.  Il contributo non è richiesto ai membri dell’Associazione.

 

L’importo può essere:

a)           –      versato sul CC. bancario 1/0035650, Banca Popolare di Sondrio, ABI 05696 CAB 11000,  intestato all’Associazione,

b)           –   inviato tramite vaglia postale o assegno bancario non trasferibile a: Associazione Poiein, Via Bonfadini, 38 – 23100 – Sondrio,

c)      –  in ogni caso indicando nella causale di versamento o, nello scritto per posta, la dicitura "partecipazione al Premio Turoldo – 5° edizione".

 

4.         Le opere dovranno pervenire, entro il 31 dicembre 2007 in unica copia, a uno dei seguenti indirizzi  (a comodità del partecipante):

–      Indirizzo di posta elettronica  turoldo@poiein.it (come allegato Word o RTF)

–      Associazione Poiein, Via Bonfadini, 38 – 23100 – Sondrio  (copia su CD o Floppy Disk);

 

Si raccomanda vivamente di inviare i testi, se possibile, per posta elettronica e anche su supporto elettronico in caso di invio postale.  Tale modalità si rende necessaria per evitare possibili errori nella trascrizione dei testi da formato cartaceo a formato elettronico.

 

L’iscrizione diverrà effettiva all’accertamento del versamento bancario o al ricevimento del vaglia o dell’assegno di cui al punto 3).

 

Le opere saranno pubblicate per intero, man mano che perverranno all’Associazione, sul sito Internet,  www.poiein.it  in apposita sezione.   L’atto della pubblicazione equivale all’attestazione che l’autore è iscritto al concorso.  Le opere pubblicate rimarranno di proprietà dell’autore ma faranno parte del sito www.poiein.it sino a che esisterà l’archivio in rete Internet.

 

5.            L’autore dovrà indicare nella lettera di invio o sul messaggio di posta elettronica:

   a) cognome e nome, b)  indirizzo completo, c)  numero di telefono, d)  indirizzo di posta elettronica  (se posseduto), f)  breve curricolo  (circa 10 righe), compilando con precisione la scheda allegata al presente bando e allegandola al file contenente le poesie.

 

6.         Premi – Al primo classificato sarà corrisposto un premio che ammonta a € 1.000. 

Un premio speciale, eventualmente cumulabile con il precedente, che ammonterà a € 400, sarà corrisposto all’autore che alla data del 31 dicembre 2007 non avrà ancora compiuto i 25 anni di età e che si sarà meglio classificato fra i partecipanti under 25.

L’organizzazione del premio si riserva di aumentare tali importi o di aggiungere un ulteriore premio ai due in palio, in vista di sponsorizzazioni e patrocini.

 

I titoli di premiazione di cui al punto precedente possono, a discrezione della giuria,  non essere attribuiti, ma in ogni caso vengono attribuiti gli importi corrispettivi in danaro agli autori che hanno un miglior punteggio nella valutazione della giuria.

 

7.            La Giuria del premio è composta da poeti e critici il cui nome sarà reso noto appena possibile sulla bacheca elettronica della presente edizione.  La segreteria organizzativa del premio è affidata a Gianmario Lucini.

 

La proclamazione del vincitore spetta al Presidente della giuria.  Il verdetto della giuria è insindacabile.  Ad ogni partecipante saranno inviate, tramite posta elettronica, la graduatoria finale e le motivazioni della giuria.

 

I nomi dei vincitori saranno resi noti con comunicato della Giuria in occasione dell’aggiornamento del del sito ai primi di marzo 2008.  I vincitori saranno avvisati per posta elettronica e per telefono.

 

La cerimonia di premiazione si terrà sabato 29 marzo 2008, presso il Centro Multimediale del Comune di Piateda (So), con programma che verrà stabilito e pubblicato nella bacheca del concorso.  Gli autori premiati dovranno parteciparvi, pena l’annullamento dell’assegnazione del premio e/o del corrispettivo in danaro, tranne gravi motivi e a discrezione della giuria.  Sarà loro assicurato il rimborso spese da qualsiasi luogo di provenienza, con i normali mezzi di trasporto e l’ospitalità organizzata dalla segreteria del premio.

 

8.           Ogni lettore che naviga sul sito, potrà esprimere un giudizio sui testi, con un messaggio che deve essere FIRMATO e inviato all’indirizzo turoldo@poiein.it (specificando ovviamente il nome dell’autore al quale si riferisce la critica inviata).

Non vengono presi in considerazioni giudizi non supportati da argomentazioni (si chiede espressamente di argomentare il “perché” un’opera sia apprezzata o non apprezzata).

 

9.            Per ogni aspetto formale non espressamente regolamentato, si fa riferimento alle decisioni della giuria, la quale le comunicherà sulla bacheca elettronica del concorso.

 

Per ulteriori informazioni:

a)   La bacheca del concorso

b)   Gianmario Lucini  (0342.200.547 – 338.17.31.774 – gianmario@sici.info

      (preferisce l’uso della posta elettronica)

  

______________________________


 

Fac-simile della scheda di partecipazione

 

(copiare, completare e incollare nel corpo del messaggio con l’invio delle opere, sostituendo gli spazi sottolineati con le informazioni richieste)

 

[Cognome e nome] ____________________________________________________________

 

[Indirizzo (residenza, CAP, Città)] ________________________________________________

 

[Data di nascita] __/__/____  [Telefono] _________________  [Cell.] ___________________

 

[Posta elettronica] ____________@______________

 

 

Breve curriculum

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Versamento del contributo di € ___,00 tramite: CC bancario,   Assegno non trasferibile,   Posta, Altro (specificare) – [(cancellare le voci non pertinenti)]

 

La Segreteria, in ottemperanza alle disposizione di Legge, non divulgherà i dati personali se non ai fini dell’allestimento della pagina personale su Internet: nome, cognome, città di residenza, accenno generico alla professione (come nelle precedenti edizioni).  Le informazioni sul curriculum verranno impiegate solo per meglio documentare la presentazione delle opere in graduatoria finale.


 

“DI QUINTA IN QUINTA” di Antonio PIBIRI

Turi Volanti - Caduta-degli-dei

Nursery

 

si deve ancora cadere e ricadere

e capitombolare dentro la caduta

prima d’essersi rialzati

sul riavuto regolare respiro?

 

poi ricordo che la lenta peristalsi

spinse la parola fin sull’orlo della bocca,

 

più di una, e rimasero a lungo

le parole col corpo riverso e assorto,

corvidi sdraiati sulla schiena.

 

scelsi di prenderle per mano

                             posarle

sulle ali di colomba del quaderno

         aperto come braccia al sole

 

attese ai vetri della convalescenza.

 

 

*

 

 

Vantaggi secondari

 

alla fiamma che da una fenditura

del terreno s’erge accosti le mani

nella notte del peggior inverno,

come dire che all’inferno almeno

c’è da scaldarsi, spiritato falò,

nido, riparo, amnio tra i liquami

che nonostante freno e pioggia perduta.

 

*

 

TRATTO DA “IL MONDO CHE NON CAMBIA”

 

va meglio così? forse, fissando una scadenza:

porta che sai aprirti all’anelito evasivo,

come ai primi pollini che col cambio di stagione

ti fanno starnutire.

ora va meglio, contrafforti alle dighe degli occhi.

tutti i diavoli nel canneto per quanto molesti

non possono spaesarti dal centro, dal “certo”

o confonderlo, confonderti. ma troppe altre cose

ahimé hanno in se il potere di farlo.

tu, e tu, e tu, e tu che non sai. e voi che non sapete

quando ciò che è in seno risorge e con le sue

manine di bimbo tutto afferra, predace.

non sapete quando le corde spaghetti scotti

tornano a tendersi su un guscio di risonanze

e le dita piccoli imbuti.

esci di casa in tutta fretta. suderai in fronte.

che bisogno c’è? perché è una giornata

insolitamente calda e la pagina bianca

inizia a tingersi di parole, vernice fresca.

le mamme lungo la strada sono le più belle.

ti fanno dimenticare il poligono di tiro.

a coppie i nastri rossi sulle transenne s’arcuano

al vento, bretelloni tesi da pollici ilari.

ma non sembrano divertirsi gli operai

tra colate di catrame e scavi aperti.

non luccicano di sudori e non li incalza

un’ampia falcata verso lontane destinazioni.

stare. lavorare…

sui fondali sabbiosi uno sparide

cambia di continuo direzione prima di scomparire

via, libero nel liquido vincolo.

tendi un soldo ad un mendicante.

sai che lei che sta accanto

non approva, e non perde occasione

per espettorare

il sarcastico disappunto. sciocca che ama

solleticare il suo clito cogitante ed ha una parola

a sproposito per ogni cedimento del cuore

senziente.

lo tieni in borsetta, forse, il cuore, quella così

spiritosa

e quasi infantile…

ma i bambini hanno occhi increduli

per chi giace per terra

nel grande emporio che si snoda per le vie,

sangue che irrora l’intero organismo,

incensato eco-sistema

in cui vinti e avvinti fiumano.

 

*

 

                                                               Ad A. Rosselli

GATTI D’ACQUA DOLCE

 

e tempeste scalciano spruzzi di schiuma

lungo le corsie, alla luna offesa,

dei cronicari…

Amelia, Amelia con carta e penna

legata all’albero della follia

da marinai senza divisa,

ma se tutto è velato di mondo

cosa affocavi

                      dall’oculare tuo azzurro tondo?

 

*

 

                                                           a mia madre

BUFERA IN CLESSIDRA

 

madre perduta, di già perduta,

una vela di sabbia

                              scorre

lungo il suo braccio che s’erge

 

nel vento stentòreo,

 

                             prima un richiamo

d’avorio, di già filo d’eco

un grano prossimo a sparire

alle diottrie,

                    sviste del cuore.

 

*

 

L’ANIMA DI MARINA*

 

Come un malessere che inclina i piani

piaga egizia la nube di locuste

accarna i vitelli ossuti

da dietro le persiane.

 

l’occhio franto da campane di sole,

che a tutta forza suonano abbagli

colmando i riquadri.

 

sfilano in fantasie  di coriandoli

strascichi di barattoli vuoti

metallici riflessi alle allodole.

 

gincana tra le corde d’arpa è l’anima,

che s’apparta nella quiete pallida

della stessa sua veracità,

pietra di luna** nubile.

 

 

*Allude ad un’opera per voce e orchestra della compositrice russa Sofia Gubaidulina, sul testo di Marina Cvetaeva: “L’ora dell’anima”.

 

** Pietra di  luna-adularia una varietà minerale di ortoclasio,

trasparente con una leggera torpidità dai riflessi “Vaganti”.

 

*

 

                                                                 chi abiterà una lingua

                                                                 essa, essa lo uccide!

                                                                              M. A. Bedini

 

SORTE DEL PAROLAIO

 

pari ad un fantasma da nessun rito evocato

talora s’entusiasma di parole,

pur non dicendo niente.

ne segue con la coda dell’occhio lo svolìo

che non apre gorghi lungo le tempie.

 

e finisce pure che di lì a poco

gli si abbattono sopra in forma di pioggia,

le sue emissioni vocali, legami deboli

intorno ad un viraggio distratto di teste,

 

e pur essendo acqua non trattengono il calore,

il colore pirotecnico

                                nel suo ricadere triste.

 

 

 

Antonio PIBIRI

DI QUINTA IN QUINTA

Magnum-Edizioni, Sassari 2007

Prefazione di Antonio Fiori

 

 Prefazione di Antonio FIORI

   

“…un avvenire che non arretra/ ma prende, schivando vanto e placcaggi,/ i corpi / volentieri come offerte ”.Questi versi rappresentano bene il sofferto rapporto dell’autore con il vita, il futuro, il divenire  quotidiano.  In “Padre e Figlio” è scontro senza incontro (con scena da duello – “schiena contro schiena” – ma  senza “incontrarsi mai”).  In “Dopo il naufragio” “non rimangono altro che bolle/ in superficie con te che coli a piombo”. E ancora, emblematicamente, è forse il poeta quel “Mosè infuriato” che  corre giù dal monte/ per farsi martire nella folla in festa”. Colpisce lo sforzo immaginifico, l’originalità degli esiti,  la padronanza delle parole e la capacità di sentirne davvero il suono. Quella di Antonio Pibiri è una poesia che nasce certo dal dolore, fortemente legata al vissuto personale ma è nel contempo una poesia densa e sapienziale, capace di neologismi (“rameschi”) ed erudite ma pertinenti citazioni (l’Ofelia di Everett Millais, il Minotauro). Il poeta riesce a rendere favolistica e improbabile anche la realtà, come nel titolo “Gli allevatori di farfalle”, che ho poi scoperto esistere davvero ma che in questo clima poetico sembrano l’ennesimo frutto dell’immaginazione.

    L’autore stesso ci spiega il titolo – “Di quinta in quinta” – con il doppio riferimento alla scrittura musicale e alla quinta teatrale, dietro la quale si preparano gli attori all’entrata in scena.  Anche se smentite dalle apparenze, queste poesie nascondono un afflato recitativo, più spesso oracolare. E tutte confermano la matrice psichica profonda, un continuo congetturare, un’indecifrabile ma tangibile immanenza.

    In “Rampe di cielo”: “io dormo solo, e insceno come te/il punto esatto dove mi interrompo” . In “Ricorsi ignoranti”: “uno sbadiglio di lacrime che trema/in rivoli i sigilli, da incrociate spade/protetti, quanto basta/ al sospetto che ogni scienza è lì/ pronta a fallire”. Vorrei citare, ancora testualmente, “Gatti d’acqua dolce”, uno dei più begli omaggi che abbia letto ad Amelia Rosselli: Amelia, Amelia con carta e penna/legata all’albero della follia/da marinai senza divisa”. Altri testi notevoli sono “Nursery” (nascita della poesia nella convalescenza del corpo), “Silenzio del cuore” (dove si confrontano cadute e si chiude con grido di gabbiano), “Istruzioni per l’uso” (pregevole metafora dell’amore), “Randez-Vous” (incontro e non incontro che ricordano il cinema e la filosofia di Truffaut) e “Antipoesia” (elegante provocazione in due terzine). Una poesia ricca di un poeta autentico, di cui sentiremo parlare.

Un’autoantologia di mie poesie è ospite nel blog di

Francesco Marotta

La memoria del tempo sospeso

Violenza, propaganda e deportazione…

Un manifesto di scrittori, artisti e intellettuali contro la violenza su rom, rumeni e donne

La storia recente di questo paese è un susseguirsi di campagne d’allarme, sempre più ravvicinate e avvolte di frastuono. Le campane suonano a martello, le parole dei demagoghi appiccano incendi, una nazione coi nervi a fior di pelle risponde a ogni stimolo creando "emergenze" e additando capri espiatori.
Una donna è stata violentata e uccisa a Roma. L’omicida è sicuramente un uomo, forse un rumeno. Rumena è la donna che, sdraiandosi in strada per fermare un autobus che non rallentava, ha cercato di salvare quella vita. L’odioso crimine scuote l’Italia, il gesto di altruismo viene rimosso.
Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata violentata e ridotta in fin di vita da un uomo. Due vittime con pari dignità? No: della seconda non si sa nulla, nulla viene pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è italiana, e che l’assassino non è un uomo, ma un rumeno o un rom.
Tre giorni dopo, sempre a Roma, squadristi incappucciati attaccano con spranghe e coltelli alcuni rumeni all’uscita di un supermercato, ferendone quattro. Nessun cronista accanto al letto di quei feriti, che rimangono senza nome, senza storia, senza umanità. Delle loro condizioni, nulla è più dato sapere.
Su queste vicende si scatena un’allucinata criminalizzazione di massa. Colpevole uno, colpevoli tutti. Le forze dell’ordine sgomberano la baraccopoli in cui viveva il presunto assassino. Duecento persone, tra cui donne e bambini, sono gettate in mezzo a una strada.
E poi? Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rumeni sono rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini devono essere espulsi dall’Italia. Politici vecchi e nuovi, di destra e di sinistra gareggiano a chi urla più forte, denunciando l’emergenza. Emergenza che, scorrendo i dati contenuti nel Rapporto sulla Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati sono, oggi, ai livelli più bassi dell’ultimo ventennio, mentre sono in forte crescita i reati commessi tra le pareti domestiche o per ragioni passionali. Il rapporto Eures-Ansa 2005, L’omicidio volontario in Italia e l’indagine Istat 2007 dicono che un omicidio su quattro avviene in casa; sette volte su dieci la vittima è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita, e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte su dieci il marito o il compagno: la famiglia uccide più della mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere da letto.
Nell’estate 2006 quando Hina, ventenne pakistana, venne sgozzata dal padre e dai parenti, politici e media si impegnarono in un parallelo fra culture. Affermavano che quella occidentale, e italiana in particolare, era felicemente evoluta per quanto riguarda i diritti delle donne. Falso: la violenza contro le donne non è un retaggio bestiale di culture altre, ma cresce e fiorisce nella nostra, ogni giorno, nella costruzione e nella moltiplicazione di un modello femminile che privilegia l’aspetto fisico e la disponibilità sessuale spacciandoli come conquista. Di contro, come testimonia il recentissimo rapporto del World Economic Forum sul Gender Gap, per quanto riguarda la parità femminile nel lavoro, nella salute, nelle aspettative di vita, nell’influenza politica, l’Italia è 84esima. Ultima dell’Unione Europea. La Romania è al 47esimo posto.
Se questi sono i fatti, cosa sta succedendo?
Succede che è più facile agitare uno spauracchio collettivo (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi) piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e dell’insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.
Succede che è più facile, e paga prima e meglio sul piano del consenso viscerale, gridare al lupo e chiedere espulsioni, piuttosto che attuare le direttive europee (come la 43/2000) sul diritto all’assistenza sanitaria, al lavoro e all’alloggio dei migranti; che è più facile mandare le ruspe a privare esseri umani delle proprie misere case, piuttosto che andare nei luoghi di lavoro a combattere il lavoro nero.
Succede che sotto il tappeto dell’equazione rumeni-delinquenza si nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno.
Sfruttamento nei cantieri, dove ogni giorno un operaio rumeno è vittima di un omicidio bianco.
Sfruttamento sulle strade, dove trentamila donne rumene costrette a prostituirsi, metà delle quali minorenni, sono cedute dalla malavita organizzata a italianissimi clienti (ogni anno nove milioni di uomini italiani comprano un coito da schiave straniere, forma di violenza sessuale che è sotto gli occhi di tutti ma pochi vogliono vedere).
Sfruttamento in Romania, dove imprenditori italiani – dopo aver "delocalizzato" e creato disoccupazione in Italia – pagano salari da fame ai lavoratori.
Succede che troppi ministri, sindaci e giullari divenuti capipopolo giocano agli apprendisti stregoni per avere quarti d’ora di popolarità. Non si chiedono cosa avverrà domani, quando gli odii rimasti sul terreno continueranno a fermentare, avvelenando le radici della nostra convivenza e solleticando quel microfascismo che è dentro di noi e ci fa desiderare il potere e ammirare i potenti. Un microfascismo che si esprime con parole e gesti rancorosi, mentre già echeggiano, nemmeno tanto distanti, il calpestio di scarponi militari e la voce delle armi da fuoco.
Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto, come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente, nell’ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di libertà, dignità e civiltà; che rende indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai cittadini di farsi sudditi obbedienti.
Manca solo che qualcuno rispolveri dalle soffitte dell’intolleranza il triangolo nero degli asociali, il marchio d’infamia che i nazisti applicavano agli abiti dei rom.
E non sembra che l’ultima tappa, per ora, di una prolungata guerra contro i poveri.
Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere indifferenti. Non ci appartengono il silenzio, la rinuncia al diritto di critica, la dismissione dell’intelligenza e della ragione.
Delitti individuali non giustificano castighi collettivi.
Essere rumeni o rom non è una forma di "concorso morale".
Non esistono razze, men che meno razze colpevoli o innocenti.
Nessun popolo è illegale.

Scritto e promosso da: Alessandro Bertante, Gianni Biondillo, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Helena Janeczek, Loredana Lipperini, Monica Mazzitelli, Marco Philopat, Alberto Prunetti, Marco Rovelli, Stefania Scateni, Antonio Scurati, Beppe Sebaste, Lello Voce, Wu Ming.

Primi firmatari
: Fulvio Abbate – Maria Pia Ammirati – Manuela Arata – Bruno Arpaia – Articolo 21 – Rossano Astremo – Andrea Bajani – Nanni Balestrini – Guido Barbujani – Ivano Bariani – Giuliana Benvenuti – Silvio Bernelli – Stefania Bertola – Bernardo Bertolucci – Sergio Bianchi – Ginevra Bompiani – Carlo Bordini – Laura Bosio – Botto&Bruno – Silvia Bre – Enrico Brizzi – Luca Briasco – Elisabetta Bucciarelli – Franco Buffoni – Errico Buonanno – Domenico Cacopardo – Lanfranco Caminiti – Rossana Campo – Maria Teresa Carbone – Massimo Carlotto- Lia Celi – Maria Corbi – Stefano Corradino – Mauro Covacich – Erri De Luca – Derive Approdi – Donatella Diamanti – Jacopo De Michelis – Filippo Del Corno – Mario Desiati – Igino Domanin – Tecla Dozio – Nino D’Attis – Francesco Forlani – Enzo Fileno Carabba – Ferdinando Faraò – Marcello Flores – Marcello Fois- – Barbara Garlaschelli – Enrico Ghezzi – Tommaso Giartosio – Lisa Ginzburg – Roberto Grassilli – Andrea Inglese – Franz Krauspenhaar – Kai Zen – Nicola Lagioia – Gad Lerner – Giancarlo Liviano – Claudio Lolli – Carlo Lucarelli – Marco Mancassola – Gianfranco Manfredi – Luca Masali – Sandro Mezzadra – Giulio Milani – Raul Montanari – Giuseppe Montesano – Elena Mora – Gianluca Morozzi – Giulio Mozzi – Moni Ovadia – Enrico Palandri – Chiara Palazzolo – Melissa Panarello – Valeria Parrella – Anna Pavignano – Lorenzo Pavolini – Giuseppe Pederiali – Sergio Pent – Santo Piazzese – Tommaso Pincio – Guglielmo Pispisa – Leonardo Pelo – Gabriele Polo – Andrea Porporati – Alberto Prunetti – Laura Pugno – Christian Raimo – Veronica Raimo – Franca Rame – Enrico Remmert – Ugo Riccarelli – Anna Ruchat – Roberto Saviano – Sbancor – Clara Sereni – Gian Paolo Serino – Nicoletta Sipos – Piero Sorrentino – Antonio Spaziani – Carola Susani – Stefano Tassinari – Annamaria Testa – Laura Toscano – Emanuele Trevi – Filippo Tuena – Raf Valvola Scelsi – Francesco Trento – Nicoletta Vallorani – Paolo Vari – Giorgio Vasta – Grazia Verasani – Sandro Veronesi – Marco Vichi – Roberto Vignoli – Simona Vinci – Yo Yo Mundi
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Pier Paolo Pasolini: filmati storici da You Tube

Pierpaolo_Pasolini_2enzo biagi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Enzo Biagi intervista Pier Paolo Pasolini

http://it.youtube.com/watch?v=A3ACSmZTejQ

Pasolini intervista Ungaretti

http://it.youtube.com/watch?v=DwmjrqARORU

Altri filmati…

(vedi anche su La Poesia e lo spirito)

Pasolini sui medium di massa:

http://it.youtube.com/watch?v=A3ACSmZTejQ

L’incontro di Pasolini con Totò

http://it.youtube.com/watch?v=oggM2gFMSnY

L’orazione di Alberto Moravia per la morte di Pasolini

http://it.youtube.com/watch?v=1dN3f7CC4lc

Pasolini ed Ezra Pound

http://it.youtube.com/watch?v=0YJSG1C3sF8

Pasolini sull’omologazione

http://it.youtube.com/watch?v=xUn10yA09vI

Pasolini e Moravia

http://it.youtube.com/watch?v=xn8CZTi5gxE

Pasolini: horror dreams

http://it.youtube.com/watch?v=-jbM_oeIFbU

Sciascia parla di Pasolini

http://it.youtube.com/watch?v=P_Yhhas1HFw

Pasolini, assenza di speranza e morte

“Faust” J. W. GOETHE

J. W. Goethe

Sul blog "La poesia e lo spirito"

Notte

In una stanza gotica a volta, stretta e altera, Faust, inquieto, nella poltrona davanti al suo scrittoio

Faust

E le ho studiate, ah! filosofia,
giurisprudenza e medicina
– anche, purtroppo, teologia –
da capo a fondo, con tutto l’ardore.
Povero pazzo: e ora eccomi qui
che ne so quanto prima.
Dicono: “professore”. Persino “maestro”, dicono;
– su e giù, dritto e traverso – gli studenti
li meno per il naso…
E mi è chiaro che nulla possiamo conoscere!
E’ qualcosa che quasi mi brucia il cuore. Certo
io ne so più di tutti quei saccenti,
maestri, professori, chierici e segretari.
Non mi tormentano dubbi né scrupoli,
non ho paura d’inferno o di diavoli:
ma in cambio non ho più piacere di nulla,
non ho idea di sapere qualcosa che abbia un senso,
per migliorarli, gli uomini, o mutarli.
E non ho beni né ricchezze,
non onori e splendori mondani.
Neanche un cane potrebbe resistere così!
Ecco perché mi sono dato alla magia
se mai per forza o voce dello spirito
qualche segreto mi s’aprisse
e non dovessi più sudare sangue
a dire quello che non so.
E conoscessi, il mondo, che cos’è
che lo connette nell’intimo,
tutte le forze che agiscono, e i semi eterni, vedessi,
senza frugare più tra le parole.

Oh tu guardassi, luce di plenilunio,
per l’ultima volta al mio dolore
tu che a mezzanotte ho attesa
tante volte a questo leggìo !
Allora su libri e su carte
m’apparivi, amica triste.
Ah, nel dolce tuo lume potessi

andare sopra le vette dei monti,
vagare intorno alle grotte dei monti,
insieme agli spiriti, errare
nel tuo albore sui prati,
e fuor dei fumi d’ogni sapere
guarirmi nella tua rugiada.

Come? Ancora io qui carcerato?
Tana maledetta tetra
dov’è anche la luce cara del giorno
fila torbida dai vetri di colore!
Cerchiato da questo cumulo di libri
che ti rodono i tarli, la polvere copre,
che carte annerite circondano
fino alla vòlta, lassù,
e tutto fitto di vasi, di teche,
di strumenti accatastati, zeppo
di ammennicoli d’antenati…
Questo è il tuo mondo! Questo si dice un mondo!

E ancora chiedi perché l’angoscia
in petto il cuore ti stringe,
perché un dolore incomprensibile
ti reprime ogni moto di vita?
Invece di quella natura vivente
dove Iddio ha disposto gli uomini,
tra fumo e muffa hai d’intorno soltanto
scheletri di bestie, ossa di morti.
Va’ via! Su, verso liberi spazi!
E questo libro misterioso,
manoscritto di Nostradamus,
non è per te guida che basti?
Conoscerai il corso degli astri
E, se Natura ti ammaestra, allora a te
quel potere dell’anima si schiuderà, che intende
Come ad un altro spirito uno spirito parla.
Che il tuo rovello arido interpreti
qui per te i sacri segni, non serve:
voi mi volate accanto, spiriti!
Se mi sentite, rispondetemi!
Spalanca il libro e scorge il segno del Macrocosmo.
Oh, se qui guardo, che estasi
subito m’empie tutti i sensi!
Sento una giovane felicità di vivere
corrermi, fuoco nuovo, nervi e arterie.
Fu dunque un dio chi scrisse questi segni,
alla sconvolta anima pace,
gioia al mio cuore triste,
che per impulso misterioso
le forze della Natura svelano intorno a me?
Sono io forse un dio? Ogni cosa
si fa così chiara. Io guardo come
in questi segni limpidi
la natura creatrice mi si rivela all’anima.
Solo ora intendo quel che dice il Saggio:
“Non è serrato, il mondo degli spiriti:
hai chiusa la tua mente, hai morto il cuore.
Su, discepolo, osa immergere
il tuo petto terrestre nel lume dell’aurora!”
Contempla il segno
Come ogni cosa si intesse in un tutto
e una nell’altra opera e vive!
Come scendono e salgono le potenze celesti
e i secchi aurei si tendono!
Vanno su ali che spirano grazie
dal cielo attraverso la terra,
armoniosa universa risonanza.

Che scena! Ah, ma è soltanto una scena.
Natura illimitata, dove stringerti?
Voi, seni, dove? Voi, sorgenti d’ogni vita
da cui la Terra e il Cielo pendono,
cui questo petto esausto tende,
colmi, per ogni sete… E inutilmente
io a struggermi qui?

Sfoglia con dispetto il libro e vede il segno dello Spirito della Terra

Come opera diverso, su di me, questo segno!
Spirito della Terra, tu mi sei più vicino.
Già mi sono cresciute, lo sento, le forze,
già ardo come per vino nuovo.
Sento il coraggio di affrontare il mondo,
di reggere alle pene terrene, alle gioie terrene,
di contrastare le bufere, di
non tremare allo schianto del naufragio!
Sopra di me una nuvola…
La luna si vela…
Cala la fiamma della lampada!
Come una nebbia…Intorno alla testa ho scintille
rosse, lampi. Un brivido
s’abbatte dalla vòlta
e m’afferra. Lo sento,
mi aliti intorno, Spirito invocato!
Rivelati!

Oh, come in cuore qualcosa si spezza!
A percezioni nuove insorgono
tutti i miei sensi. A te
si dà, lo intendo, l’anima intera!
Tu devi! Tu devi! Mi costasse la vita!
Prende il libro e con accento di mistero pronuncia il segno dello Spirito, Guizza una fiamma rossastra, nella fiamma appare lo Spirito.

*

Nacht

In einem hochgewölbten, engen gotischen Zimmer Faust, unruhig auf seinem Sessel am Pulte.

Faust

Habe nun, ach! Philosophie,
Juristerei und Medizin,
Und leider auch Theologie
Durchaus studiert, mit heißem Bemühn.
Da steh ich nun, ich armer Tor!
Und bin so klug als wie zuvor;
Heiße Magister, heiße Doktor gar
Und ziehe schon an die zehen Jahr
Herauf, herab und quer und krumm
Meine Schüler an der Nase herum –
Und sehe, daß wir nichts wissen können!
Das will mir schier das Herz verbrennen.
Zwar bin ich gescheiter als all die Laffen,
Doktoren, Magister, Schreiber und Pfaffen;
Mich plagen keine Skrupel noch Zweifel,
Fürchte mich weder vor Hölle noch Teufel –
Dafür ist mir auch alle Freud entrissen,
Bilde mir nicht ein, was Rechts zu wissen,
Bilde mir nicht ein, ich könnte was lehren,
Die Menschen zu bessern und zu bekehren.
Auch hab ich weder Gut noch Geld,
Noch Ehr und Herrlichkeit der Welt;
Es möchte kein Hund so länger leben!
Drum hab ich mich der Magie ergeben,
Ob mir durch Geistes Kraft und Mund
Nicht manch Geheimnis würde kund;
Daß ich nicht mehr mit saurem Schweiß
Zu sagen brauche, was ich nicht weiß;
Daß ich erkenne, was die Welt
Im Innersten zusammenhält,
Schau alle Wirkenskraft und Samen,
Und tu nicht mehr in Worten kramen.
O sähst du, voller Mondenschein,
Zum letzenmal auf meine Pein,
Den ich so manche Mitternacht
An diesem Pult herangewacht:
Dann über Büchern und Papier,
Trübsel’ger Freund, erschienst du mir!
Ach! könnt ich doch auf Bergeshöhn
In deinem lieben Lichte gehn,
Um Bergeshöhle mit Geistern schweben,
Auf Wiesen in deinem Dämmer weben,
Von allem Wissensqualm entladen,
In deinem Tau gesund mich baden!
Weh! steck ich in dem Kerker noch?
Verfluchtes dumpfes Mauerloch,
Wo selbst das liebe Himmelslicht
Trüb durch gemalte Scheiben bricht!
Beschränkt mit diesem Bücherhauf,
den Würme nagen, Staub bedeckt,
Den bis ans hohe Gewölb hinauf
Ein angeraucht Papier umsteckt;
Mit Gläsern, Büchsen rings umstellt,
Mit Instrumenten vollgepfropft,
Urväter Hausrat drein gestopft –
Das ist deine Welt! das heißt eine Welt!
Und fragst du noch, warum dein Herz
Sich bang in deinem Busen klemmt?
Warum ein unerklärter Schmerz
Dir alle Lebensregung hemmt?
Statt der lebendigen Natur,
Da Gott die Menschen schuf hinein,
Umgibt in Rauch und Moder nur
Dich Tiergeripp und Totenbein.
Flieh! auf! hinaus ins weite Land!
Und dies geheimnisvolle Buch,
Von Nostradamus’ eigner Hand,
Ist dir es nicht Geleit genug?
Erkennest dann der Sterne Lauf,
Und wenn Natur dich Unterweist,
Dann geht die Seelenkraft dir auf,
Wie spricht ein Geist zum andren Geist.
Umsonst, daß trocknes Sinnen hier
Die heil’gen Zeichen dir erklärt:
Ihr schwebt, ihr Geister, neben mir;
Antwortet mir, wenn ihr mich hört!
(Er schlägt das Buch auf und erblickt das Zeichen des Makrokosmus.)
Ha! welche Wonne fließt in diesem Blick
Auf einmal mir durch alle meine Sinnen!
Ich fühle junges, heil’ges Lebensglück
Neuglühend mir durch Nerv’ und Adern rinnen.
War es ein Gott, der diese Zeichen schrieb,
Die mir das innre Toben stillen,
Das arme Herz mit Freude füllen,
Und mit geheimnisvollem Trieb
Die Kräfte der Natur rings um mich her enthüllen?
Bin ich ein Gott? Mir wird so licht!
Ich schau in diesen reinen Zügen
Die wirkende Natur vor meiner Seele liegen.
Jetzt erst erkenn ich, was der Weise spricht:
“Die Geisterwelt ist nicht verschlossen;
Dein Sinn ist zu, dein Herz ist tot!
Auf, bade, Schüler, unverdrossen
Die ird’sche Brust im Morgenrot!”
(er beschaut das Zeichen.)
Wie alles sich zum Ganzen webt,
Eins in dem andern wirkt und lebt!
Wie Himmelskräfte auf und nieder steigen
Und sich die goldnen Eimer reichen!
Mit segenduftenden Schwingen
Vom Himmel durch die Erde dringen,
Harmonisch all das All durchklingen!
Welch Schauspiel! Aber ach! ein Schauspiel nur!
Wo fass ich dich, unendliche Natur?
Euch Brüste, wo? Ihr Quellen alles Lebens,
An denen Himmel und Erde hängt,
Dahin die welke Brust sich drängt –
Ihr quellt, ihr tränkt, und schmacht ich so vergebens?

(Er schlägt unwillig das Buch um und erblickt das Zeichen des Erdgeistes.)
Wie anders wirkt dies Zeichen auf mich ein!
Du, Geist der Erde, bist mir näher;
Schon fühl ich meine Kräfte höher,
Schon glüh ich wie von neuem Wein.
Ich fühle Mut, mich in die Welt zu wagen,
Der Erde Weh, der Erde Glück zu tragen,
Mit Stürmen mich herumzuschlagen
Und in des Schiffbruchs Knirschen nicht zu zagen.
Es wölkt sich über mir –
Der Mond verbirgt sein Licht –
Die Lampe schwindet!
Es dampft! Es zucken rote Strahlen
Mir um das Haupt – Es weht
Ein Schauer vom Gewölb herab
Und faßt mich an!
Ich fühl’s, du schwebst um mich, erflehter Geist
Enthülle dich!
Ha! wie’s in meinem Herzen reißt!
Zu neuen Gefühlen
All meine Sinnen sich erwühlen!
Ich fühle ganz mein Herz dir hingegeben!
Du mußt! du mußt! und kostet es mein Leben!
(Er faßt das Buch und spricht das Zeichen des Geistes geheimnisvoll aus. Es zuckt eine rötliche Flamme, der Geist erscheint in der Flamme.)

“Faust” – J. W. Goethe
Mondadori (I Meridiani), 1990
Introduzione, traduzione con testo a fronte e note a cura di Franco Fortini.

Johann Wolfgang Goethe, il padre del preromanticismo tedesco, l’ispiratore di Nietzsche e Baudelaire, di Novalis e Rilke, nacque il 28 agosto 1749 a Francoforte sul Meno, da una delle migliori famiglie della borghesia cittadina.
Indirizzato dal padre, nel 1765 a Lipsia cominciò i suoi studi di giurisprudenza. Qui frequentò intellettuali e si orientò verso il rococò; prese lezioni di disegno da Adam Friedrich Oeser, amico di Winckelmann, e si interessò di scienze naturali. Sempre in questo periodo scrisse la prima raccolta di poesie d’amore, Annette, dedicata alla figlia del suo albergatore e I capricci dell’innamorato, capolavoro della commedia pastorale tedesca.
Nel 1768, quando si ammalò gravemente ai polmoni, fece ritorno a Francoforte dove frequentò un’amica della madre, Susanne Katharina von Klettenberg, anch’essa di idee pietistiche. Qui compose la commedia in alessandrini, I complici (1769). A Strasburgo, dal 1770 al 1771, Goethe completò gli studi universitari. Conobbe Herder che lo inziò a poeti come Omero, Ossian, Sofocle e Shakespeare Nella vicina Sesenheim ebbe un intenso e doloroso amore con Friederike Brion, figlia del pastore evangelico, che gli avrebbe ispirato le prime liriche di tono amoroso (Canzoni di Sesenheim).
Gli anni dal 1773 al 1775 furono intensi: visse stabilmente a Francoforte, salvo per i periodi in cui viaggiò lungo il Reno e attraverso la Svizzera sino al Gottardo; scrisse molto, le poesie del cosiddetto “ritmo libero” (Tempestoso canto del viandante, Il viandante, Il canto di Maometto), Götz von Berlichingen (1773), Clavigo e I dolori del giovane Werther (1774), e diede inizio al Faust, al dramma Prometeo e all’Egmont. Trasferitosi a Weimar si occupò come ministro di miniere, strade, agricoltura, finanze. Scriveva solo nel tempo libero: nel 1777 iniziò a lavorare alla Vocazione teatrale di Wilhelm Meister e al Viaggio invernale nello Harz. Presente Goethe, Weimar conobbe in quegli anni una rinascita culturale e artistica.
Viaggiò nel nostro paese per due anni (notizie sul soggiorno italiano si ritrovano nelle lettere e in Viaggio in Italia del 1816-1817).
Nel 1790 concluse la prima parte del Faust, con il titolo Faust.Un frammento.
Nel 1794 si fece intensa la collaborazione con Schiller, che sarebbe durata sino alla morte del poeta (1805). A Jena frequentò l’ambiente culturale che faceva capo a Hölderlin e Schlegel. Con la solita insaziabile curiosità si occupò qui di ottica e di anatomia, pubblicando nel 1810 tre trattati sulla Teoria dei colori.
Nel 1809 pubblicò, per l’editore Cotta, Le affinità elettive e cominciò la sua autobiografia, Della mia vita. Poesia e verità (1831). Nel 1814, la lettura del Divan dello scrittore persiano Hafiz gli ispirò le poesie del Divano occidentale-orientale (1819).
Negli ultimi anni la sua creatività raggiunse livelli altissimi: oltre a scrivere numerose recensioni, elegie, poesie, Goethe portò a termine il Meister e il Faust.
Morì a Weimar il 22 marzo 1832
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