Anche su La Poesia e lo spirito
MAZZAMAREDDU
Fu dda ghiotta
di pisci
carrica d’agghia e spezzi
ddu mari di vinu e minchiati
chi ni sacciu…
Strata strata
truppicava nna fantasimi
nsivati di tossicu
e fumeri
sintìa ieni scaccaniari
squartariannu
caddozzi di ragiuni ancora viva…
Poi
nna lu scuru di chiusi stiddi
l’occhi
di tutti li nnuccenti
sacrificati bistimiannu omu e Diu
scuppiaru
e foru botti luci culuri
masculiata di jocufocu.
Sulu tannu
vitti la Pietà:
sugghiuzzava
aggiuccata davanti a la so porta
comu na vecchia buttana.
INCUBO. Fu quella zuppa/di pesce/troppo ricca d’aglio e pepe/quel mare di vino e cazzate/che ne so…/Lungo la strada/incespicavo/in parvenze spaventose/insudiciate da veleno e letame/sentivo iene sghignazzare/sbranando/pezzi di ragione ancora viva…/Poi/nel buio di chiuse stelle/gli occhi/di ogni creatura innocente/immolata bestemmiando uomo e Dio/esplosero/e furono botti luci colori/il culmine di un fuoco d’artificio./Solo in quel momento/avvistai la Pietà:/singhiozzava/accucciata davanti alla sua porta/come una vecchia puttana.
*
CUNTRASTU
Eranu tutti frati
e ju
nun avia soru
tutti ricchi
e ju
nun avia scarpi
tutti santi
e ju
addivava lu nfernu
eranu tutti morti
e ju
li burricai
CONTRASTO. Erano tutti fratelli/ e io/non avevo sorelle//tutti ricchi/e io/non avevo scarpe//tutti santi/e io/covavo l’inferno//erano tutti morti/e io/li sotterrai.
*
CHINCHI CONCHI
Mi cafuddu pugna ‘n-pettu
allimu vuciazzati
putenti
accippata
paru Chinchi Conchi.
Acqua, ventu, nivi
scupittati
nun mi smovinu.
Oramai ci ponnu sulu
cannunati
e dd’amuri fora finàita
chi mi stocca li jammi
figghia mia.
KING KONG. Mi percuoto il petto con i pugni/urlo/possente/nerboruta//sembro King Kong./Acqua, vento, neve/schioppettate/non mi scompongono.//Ormai mi possono annientare soltanto/le cannonate//e quell’amore sconfinato/che mi spezza le gambe//figlia mia.
*
NNIMMA
Nun sugnu
nun sugnu
nun sugnu
e
siddu na vota
a trasi e nesci
sugnu
mi scantu
e
di mia stissa
m’ammucciu.
ENIGMA. Non sono/non sono/non sono/e/semmai una volta/di straforo/sono//mi metto paura/e/da me stessa//mi nascondo.
*
UN JORNU DI MARZU
Era scrittu
nun ti pigghiari pena:
finu a quannu
m’abbasta lu ciatu
matina pi matina
mi ci nsaccu
nna dda cammisa
stritta e scòmmira
chi m’accullasti
un jornu
di Marzu.
UN GIORNO DI MARZO. Era scritto/non te ne crucciare:/finché/ne avrò la forza/ogni mattina/mi costringerò/in quella camicia/stretta e scomoda/che mi hai affibbiato/un giorno/di Marzo.
*
SENZA SCANTU
La vogghiu sblaccari
cu tutti li sensi
vigghianti
ssa porta scancarata
chi lu tempu
lassa apposta
sicca d’ogghiu
p’amminazzarini
cu ddu cicchi ciacchi.
Nun portu nenti
nun cercu nenti
sugnu
na truscia vacanti
postu ni pigghiu picca
e trasu
senza scantu.
SENZA PAURA. Voglio attraversarla/con tutti i sensi vigili /questa porta sgangherata/ che il tempo lascia/deliberatamente/priva d’olio/per intimorirci/con quel cigolio./Non porto nulla/non cerco nulla/sono un sacco vuoto/posto ne prendo poco/ed entro/senza paura.
*
Flora RESTIVO
Po essiri
Samperi editore 2008
Prefazione di Salvatore Di Marco
Postfazione di Marco Scalabrino
*
Il nome di Flora Restivo si è affermato in termini di autonomia e consolidati consensi letterari, in virtù dell’insieme degli elementi fondamentali che hanno caratterizzato, finora, il suo percorso creativo. E’ stato indubbiamente un cammino fatto di gradualità, sia nella ricerca poetica in sé, che nella sperimentazione di uno stile che, subito, fin dai primi approcci, ha rivelato nella personalità della Nostra, il segno della originalità e so di mettere in campo un termine gravido di equivoci. Va perciò detto che l’originalità, in lei, non è data da alcuna stravaganza stilistica e di linguaggio, non è data nemmeno da tutto ciò che di letterario s’imponga alla vista per conseguire, comunque, un’artificiosa “distinzione”. Nel caso di Flora Restivo l’originalità viene dal contrario di tutto ciò. E’ in gioco, infatti, la pratica rigorosa di una autonoma disciplina della propria vocazione alla poesia, laddove l’idea di autonomia della forma e della espressione si colleghi alla nozione prima del suo concetto: cioè alla capacità di ogni soggetto di elaborare e di applicare per sé e da sé proprie norme di scrittura e proprie regole di metodologia della forma lirica. In particolare, quella di Flora Restivo è sempre stata (lo diciamo in sintesi) una poetica della vita e della stessa umanità, vocata a salvaguardare, sempre, i sapori essenziali della verità.
A tale poetica è necessario saper sacrificare, da un lato, il comodo adagiarsi sul solco rassicurante della tradizione, cioè ai modelli che riconducono alla intramontata, ma ormai inefficace e sterile lezione tardo-meliana, alla linea, peraltro inflazionata, del verismo post-digiovanneo, alle suggestioni dei rammodernati temi realistici, cari ai versi di Ignazio Buttitta, di Santo Calì e di tanta parte della poesia siciliana del secondo Novecento. Dall’altro lato bisogna saper sacrificare l’eccesso di autobiografismo, i miti della nostalgia e delle malinconiche rievocazioni, saldare senza colpe il debito che ogni poeta sconta nei confronti dell’idea e della pratica letteraria del dialetto: sia che la si intenda come una condivisa koinè, sia che la si avverta come una nuova e sperimentale lingua della poesia.
Il risultato, l’approdo di questo articolato itinerario, che è anche un itinerario dell’anima, è consegnato alle sue pagine, estremamente equilibrate nel dettato, nella formulazione tematica, nello stile, nella tramatura delle singole “narrazioni liriche”, consegnato, dunque, alle inconfondibili partiture della sua originalità, sotto la guida di una sensibilità che ha sempre scommesso alto nella partita dell’esistenza.
Questa nuova silloge di componimenti “PO ESSIRI”, che adesso Flora Restivo porta alla luce delle stampe, ripropone una valutazione critica ulteriore sul ruolo della nuova poesia siciliana di oggi e quindi sul posto preminente che la nostra brava autrice vi occupa. Se è vero che non c’è nuova poesia senza poeti nuovi, è vero, dunque, che della nuova poesia siciliana, che si sta già profilando in questi anni, Flora Restivo è, tra i protagonisti, voce significativa.
In tale proiezione, mi è parso più utile tracciare un profilo sommario della sua poetica, inquadrandola nel panorama letterario di questo inizio del Duemila, piuttosto che proporre un ragionamento critico sulla sua opera, lasciando tale compito alle successive opportunità.
Tuttavia, tra i dati principali di quella poetica, vorrei rimarcarne la sua predilezione per il verso essenziale, in cui la liricità del tema trova cifre espressive di sapiente misura. L’autrice si lascia alle spalle i suggerimenti della “poesia neodialettale” dei recenti anni Novanta ed entra nella modernità dei nostri tempi e, da questo punto di vista, lo è non solo nello stile e nella scrittura, di cui la silloge offre tante indicazioni, ma lo è soprattutto nella sensibilità e nell’intuizione.
Per questo ella sa evitare ogni cedimento alla “retorica della poeticità” e risolve nel gioco dell’ironia, un gioco talvolta amaro, nell’impegno meditativo, tutti gli eventi della propria vita e della propria epoca, anche i più dolorosi, i più cocenti e tuttavia ne rivela l’ampiezza, la profondità, il segno interiore, sempre secondo verità, in autonomia di mente e d’anima, con autentico verso e vera parola.
Salvatore Di Marco
*
Flora Restivo non è autore che ami bearsi sugli allori: il gradimento, diffuso, univoco, genuino, che ne fanno senza tema di smentita una tra le voci di spicco del panorama dialettale di questo inizio di terzo millennio, piuttosto che appagarla ne ha ampliato gli stimoli, le ha profilato più avanzate frontiere, le ha instillato inusitate “ambizioni”. I quattro anni intercorsi tra il precedente progetto, CIATU, e l’attuale lei li ha investiti negli studi, nella frequentazione assidua dei Maestri, siciliani, italiani o stranieri, nel metodico affinamento, nella inarrestabile ricerca mirati al proposito di puntare all’“elezione” del suo dialetto.
La sua poesia seduce, intriga sia in ordine agli esiti che alla tecnica, offre spunti di approfondimento. A più riprese è stato rilevato che essa muove in una cornice di modernità. In effetti Flora Restivo avverte prepotentemente le pulsioni del nostro tempo, vive l’insopprimibile impellenza di trasporre tali pulsioni in segni adeguati alle mutate sensibilità, si adopera per vergare la sfaccettata realtà che ci circonda, che è sì siciliana ma altresì italiana e planetaria e nella quale lei è anima e corpo inserita, in una struttura confacente.
Naturalmente è ben conscia dei rischi dell’opzione dialettale, che ; ma ciò non le costituisce remora. Un po’ controcorrente lei lo è stata fin da ragazza, il suo temperamento ha sempre mal tollerato convenzioni e costrizioni, la sua etica, la sua indole, la sua formazione la inducono a solidarizzare, a schierarsi al fianco di persone e cose vulnerabili, che soffrono l’onta del pregiudizio, dell’emarginazione, della rimozione.
Colpiscono favorevolmente la liricità, la lievità e al contempo la solennità dei suoi versi, l’articolato equilibrio tra l’inchiostro e gli spazi vuoti, la dovizia dei lemmi tratti dall’immenso patrimonio di etimologia greca, latina, araba che costituiscono il Siciliano.
Suffragata oltre a ciò la severa e meticolosa decantazione della sua parola, che lei svuota di ogni carattere inessenziale, il problema capitale che le si rivolge è quello afferente alla scrittura del Siciliano. Ammesso difatti che in epoche antecedenti vi sia stato, oggi non vi è più un parametro unico di trascrizione del Siciliano e la questione è demandata alla disciplina, al buon senso, al gusto degli scriventi. Gli esperti, in argomento, hanno individuato due grandi aree: quella del metodo etimologico, che si richiama all’origine, alla derivazione, alla ricostruzione dell’evoluzione delle parole, e quell’altra del metodo fonografico, ovvero della trascrizione fonetica della parlata, benché questa sempre diversamente modulata da ognuno dei parlanti. Orbene, la scelta di Flora Restivo è netta, inequivocabile, convinta: è quella di scrupolo filologico della scrittura improntata all’etimologia.
Certo gli strumenti, le tecniche, i canoni ci vogliono. Ma occorre, beninteso, che a monte insista la “materia”, e che questa la si ami, la si conosca e la si conosca bene, per manipolarla, per governarla, per estrarne quelle figurazioni che già vi sono costrette e che aspettano una mano amorosa ed esperta che le liberi, le faccia emergere. E bisogna poi che un quid luminoso, la grazia speciale della Poesia, ammanti il tutto. E perché ciò avvenga, perché si possa allestire un perfetto universo di parole, necessitano studi, esercizio, consapevolezza di ciò che si fa e di come si fa, occorre porsi al servizio della Poesia con esclusiva dedizione, abbandonarsi completamente ad essa.
La cifra di Flora Restivo contempla inconsueti accostamenti di parole, di suoni, di immagini, schiera visioni, invenzioni, illuminazioni che le derivano dalle diuturne applicazioni e dall’apprezzamento che la scommessa della poesia dialettale siciliana moderna si vince, in buona misura, sulla forma, nella continua ri-creazione della forma in costanza di contenuti eterni: la vita, la morte, l’amore, la natura, Dio … E la ricerca inesausta, la cognizione della dignità, delle prerogative lessicali e sintattiche, della compiutezza espressiva del nostro dialetto, unitamente al “mestiere” temprato allo zelo della disciplina che sa mettere a frutto gli strumenti, le competenze, l’intelletto di cui dispone generano esiti assolutamente innovativi e pregevoli.
Marco Scalabrino