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25 aprile 1945. Settant’anni dopo…

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Cosa sta accadendo se in tanti ci ritroviamo a cingere affettuosamente col pensiero, dopo settant’anni, quegli artefici (per lo più inconsapevoli?) di pace e di civiltà, pensando ai loro pugni chiusi o ai palmi e agli sguardi protesi al cielo e al futuro, al loro lavoro sporco, alle poche, salde parole che hanno animato milioni di braccia, negli anni, e un’attesa  di giustizia che ancora oggi – pur confusi, stressati e impoveriti – ci pervade? Il mondo si è fatto liquido, e nel cambio incessante di scenario cerchiamo i pochi punti fermi che ci restano, guardando a ritroso.

In un tempo sovraccarico di eventi, vorticoso e in presa diretta, che trasforma le nostre esistenze, non il presente, questo presente, può darci la misura e il senso del nostro esserci.
Qualche giorno fa, a Sassari, Gustavo Zagrebelsky in tema di globalizzazione ha parlato di cornici venute meno e dell’impossibilità, pertanto, di costruire un ordito organizzativo sociale, politico, culturale; cornici senza le quali tutto si confonde e disperde, tutto diviene impossibile. Zagrebelsky ha parlato anche di dittatura del presente che impedisce alla politica di porsi dei fini alti, di elaborare progetti sociali con immaginazione e creatività. Una politica destinata pertanto a restare nella contingenza, nel pesante e vacuo groviglio dell’ordinaria amministrazione.
Le prime cornici ad essere saltate, a ben vedere, sono quelle individuali, interiori, identitarie, che se da un lato ci fanno sentire espansi e onnipresenti, in realtà, ci chiudono nella gabbia di un presente pervasivo e schiacciante, marginalizzando in noi la memoria delle esperienze passate (personali e sociali), rendendo arduo il sognarci oltre l’oggi e dentro un progetto ed un modello di vita migliore dell’attuale. Continua a leggere