Archive for settembre 2007

Salvatore BORSELLINO

Paolo Borsellino

Progetto 19 Luglio 1992

L’idea base  e’ quella di dare sinergia al mondo della rete, che e’ una miniera di persone estremanene valide e che spesso fanno un lavoro splendido, che però rimane spesso confinato al solo mondo della rete a causa dell’analfabetismo informatico della massa della gente e della mancanza di osmosi con il  mondo dell’informazione tradizionale.

 Faccio l’esempio delle mie lettere di luglio: hanno avuto una diffusione enorme nel mondo della rete, e si sono diffuse all’interno di questa come un virus, ma limitatissima e’ stata invece la diffusione nel mondo della stampa e quindi in definitiva il numero delle persone che hanno avuto la possibilita’ di leggerle.

  Questa e’ la barriera che voglio superare per portare il mondo della rete, che costituisce in Italia, ma anche nel mondo, l’ultimo baluardo della democrazia, a sfociare nel mondo esterno.

 Per fare questo ho intenzione di adoperare soprattutto il mio desiderio’ di verità e la rabbia di vederla calpestata, ma anche, dato che sono un esperto di messaggistica e comunicazioni,  le mie competenze tecniche e imprenditoriali.

 Il mondo della rete ha enormi potenzialita’ e permette di stabilire connessioni una volta impensabili.

Tempo fa, dopo la morte di Paolo, era nato un movimento, "La Rete", che aveva avuto una grande diffusione soprattutto sui giovani e il cui simbolo era Antonio Caponnetto, movimento che poi purtroppo repentinamente e inspiegabilmente si sfaldo’, probabilmente perchè distrutto per contagio da contatto dal virus della politica italiana.

Questo movimento era basato soprattutto sui contatti telefonici spontanei tra le persone e tra i gruppi  e io voglio creare qualcosa di simile adoperando i contatti molto piu’ facili realizzabili oggi attraverso la rete.

Spero di riuscire cosi’,  grazie anche  al nome che porto, ad essere il catalizzatore e il punto di aggregazione per tutte le persone e le organizzazioni operanti sulla rfete che anelano ad un paese diverso, tendono alla ricerca della verita’ e della giustizia ed hanno le capacità per contrinbuire a questa ricerca e a questa strategia,

 Per raggiungere questo scopo e’ necessario un grosso lavoro di preparazione che ho gia’ iniziato.

 Il primo passo e’ stato la registrazione di un dominio, www.19Luglio1992.com , per il quale ho bloccato anche le estensioni .it e .org, e partiro’ a breve con la crezione di un sito al quale appoggero’ un forum.

Questo non sara’  pero’ generico ma focalizzato esclusivamente alle questioni inerenti la lotta alla criminalita’ mafiosa, alla collusione di tanti appartententi a quella che e’ oggi la consorteria dei politici in Italia ed alle inadempienze, se non alle responsabilita’ dirette, dello Stato a questo riguardo.

 Sempre sullo stesso dominio appoggero’, e rendero’ poi accessibile a tutte le organizzazioni che me lo richiederanno, e che ovviamente dovranno essere selezionate  in base a certi criteri, tipo ad esempio l’Associazione dei parenti delle vittime della strage di via dei Georgofili o l’Associazione dei Ragazzi di Locri , o l’Associazione Addio Pizzo o il Centro Peppino Impastato e tutte le altre di questo tipo, un centro di comunicazioni in grado di gestire liste di distribuzione di centinaia di migliaia di indirizzi raggiungibili tramite qualsiasi mezzo trasmissivo, email, sms, fax, voce sintetizzata o registrata, posta cartacea etc.

Questo sistema di comunicazioni cosituisce l’oggetto del lavoro che mi serve per vivere.

Io ne posseggo il pieno know-how perche’ ne sono il progettista e lo sto ora adattando allo scopo per cui voglio utilizzarlo in quello che sara’ il mio lavoro per non morire.

Tramite questo centro intendo diffondere  quei dossiers, quelle comunicazioni, quelle lettere come le mie ultime del mese scorso, che preparero’ insieme con le persone che vorranno collaborare con me in questo progetto, utilizzando la presa cha ha ancora sull’opinione pubblica il nome di Borsellino per portarli all’attenzione del maggior numero di persone possibili e costringere lo Stato, tramite la pressione dei media che ne dovrebbe nascere, a dare delle risposte..

Con alcune delle persone che ho incontrato sulla rete, in particolare con quelle che sono piu’ vicine al luogo in cui abito, Milano, abbiamo gia’ fatto le prime riunioni operative per cominciare a realizzare questo progetto e chiunque, da vicino o da lontano, vorra’ collaborare con noi, e io spero che tu sia una di questi, sara’ il benvenuto.

 Un punto fondamentale e’ poi quello di cominciare a creare delle liste di contatti che devono avere la maggiore dimensione possibile, e a questo mi riferivo quando dicevo che dobbiamo essere in tanti.

A questo scopo sto cominciando a pubblicare sui forum e sui blogs degli appelli pubblicando il mio indirizzo e-mail e chiedendo a tutti di contattarmi ma e’ un lavoro pesante e sicuramente non posso farcela da solo per cui sarebbe importante avere persone che collaborino in questa attivita’.

 La mia idea sarebbe quella di raggiungere un numero consistente di contatti e chiedere poi a ciascuno di adoperarsi per procurare e fornire altri contatti con un meccanismo che, se gia’ riuscisse a procedere secondo un albero di espansione binaria, potrebbe consentire  di raggiungere quei grandi numeri che sono necessari per un progettodi questo tipo.

 Una volta raggiunto questo obiettivo organizzeremo delle manifestazioni che non dovrebbero pero’ essere le solite fiaccolate, ma delle marce che dovranno avere una forte connotazione di rabbia e di protesta insieme ad una forte carica simbolica.

 Il mio sistema potrebbe essere adoperato anche operativamente per favorirne l’organizzazione e lo svolgimento dato che e’ ad esempio in grado, tramite l’invio di un solo messaggio Sms ad un numero prestabilito, di scaternare l’invio automatico e contemporaneo di migliaia di Sms a miglia di destinazioni oltre che migliaia di e-mail ad inidirizzi di giornalisti e organi di comunicazione.

La prima alla quale penso e’ una marcia da fare in Sicilia il 19 Gennaio nella quale ciascuno porti in mano un’agenda rossa con scritti, per ogni giorno dell’anno, i nomi di tutte le vittime, in quel giorno, della criminalita’ mafiosa e delle tanti stragi di Stato

Il 19 Gennaio e’ il giorno della nascita di Paolo e vorrei cosi’ rovesciare il significato delle commemorazioni che si fanno nel giorno della sua morte, contrapporre il ricordo della morte alla speranza della rinascita della coscienza civile, alla speranza di una ribellione della nostra gente a questa che e’ la piu’ dura delle oppressioni che abbiamo subito nel corso dei secoli.

No so se faro’ a tempo a raccogliere della adesioni a questa mia idea, se Rita mi aiutasse ci riuscirei sicuramente, altrimenti  la faro’ da solo, a piedi e per i paesi piu’ signficativi, Messina, Catania, Enna, Caltanissetta, Corleone, Palermo  e cosi’ forse riusciro’ a superare l’ostracismo dei mezzi di informazione e ad attirare l’attenzione di qualche indifferente sul cancro che ci impedisce di vivere e ci distrugge.

 Come vedi il lavoro e’ tanto e c’e’ bisogno di tante persone con dentro la stessa mia rabbia e tanta voglia di fare.

C’e’ bisogno anche, oltre alle mie, di tante altre idee.

 Scrivimi, mi interessa sapere se le mie sono solo utopie o se ci sono anche altri che pensano che siano realizzabili. e che vogliano realizzarle insieme a me.

Salvatore Borsellino

 

 

protesta dei monaci buddhisti in birmania

"I monaci, da sempre parte rispettata e importante della società birmana – e tanto più in un paese governato dalla censura, dove il monastero è anche scuola e luogo di confronto. Ora i monaci buddisti esercitano il loro «ruolo morale» sfilando nelle strade, facendosi microfono di un’intera popolazione, chiedendo democrazia e dialogo."  ( Marina Forti – da il manifesto del 28 settembre 2007)

“LA POESIA E LO SPIRITO”

Roma, 22 settembre 2007

“INCONTRO CON GLI AUTORI”

TEATRO SAN CARLO

VIA DI MACCHIA SAPONARA 106 

 http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/09/24/levento-falsa-testimonianza-di-chi-non-cera/#comments

http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/09/23/edizione-straordinaria-resoconto-ab-imo-pectore-del-primo-raduno-di-lpels/

“Poesie operaie” di Luigi DI RUSCIO

Poesie operaie

I commenti su "La poesia e lo spirito":

http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/09/23/poesie-operaie-luigi-di-ruscio/

Filmato di presentazione del libro:

http://www.rassegna.it/2007/video/articoli/diruscio.htm  

Per colazione hanno acqua e pane
bevono molta acqua
la saliva che hanno devono sputarla sulle mani
perché il martello non scivoli
a mezzogiorno mettono nel brodo d’erbe
il solito pane nero
al coprirsi del sole se io sono pieno di malinconia
per loro è bello tornarsene a casa ridendo
sedersi in famiglia giocare con i figli
dopo dieci ore di lavoro sulle pietre
per quel poco pane e perché la moglie
continui a fare per ultimo il piatto
perché a nessuno manchi la parte.

*

lo spirito m’illumina soprattutto quando correvo
la gioia amorosa m’ingoiava completamente
eravamo illuminati poi venne il caos venne la notte e le tenebre
un angelo mi inseguiva felice scelto tra i più veloci e scattanti
con lunghissime ali che mi gettava in continue inquietudini
di certi anni ricordo solo il chiarore del sole
e una pioggia felice che batteva sulla lamiera ondulata
e avevo a disposizione giornate eterne
ed un silenzio che solo la mia penna scalfisce
mentre la lucciola festiva sugli sprofondi della notte
tesse la sua danza felice
tutto si animava ad ogni boccata d’aria respirata
e non saranno necessari i ritorni
tutto si è incarnato per sempre
avrò tutto davanti agli occhi
con la stessa lucida straziante gioia.

*

le ore sei sono l’inizio della nostra giornata
noi siamo l’inizio di tutti i giorni
inizia il giro delle ore sulla trafilatrice
che mi aspetta con la bocca spalancata
inizia la mia danza il mio spettacolo
in certe ore entra nel reparto una chiazza di sole
e lo sporco nostro è schiarito come nelle immagini dei santi
rubo il tempo per una fumata che raspa nella gola
spio i minuti sul quadrante dal grande occhio
e tutto ad un tratto ci scuote l’urlo della sirena
ci attende il riposo per la sveglia di domani
la suoneria che entra dentro i sogni esplodendoli
ed ecco un nuovo giorno della mia esistenza
con l’allegria fuori della mia ragione

*

Per Caterina

dovrai resistere all’acqua al fuoco alle tenebre
dovrai rimanere umana nonostante la capillare brutalizzazione
toccare tutti gli elementi della morte sino alla morte
vivere tutto quello che mai è stato vissuto e mai più sarà vissuto
non credere neppure una parola di tutte quelle che ti diranno
noi che viviamo anche per rappresentare tutti quelli che sono morti
e tutti quelli che verranno e sino a quando rimarrà la resistenza di uno solo
la sconfitta non è ancora avvenuta
non la rosa sepolta ma i comunisti massacrati e sepolti
tutto deve essere ingoiato anche quello che profondamente disprezzo
la violenza e la tortura stabilizza il mondo come la forza di gravità
tiene insieme il sistema solare e tutte ste famiglie
tenute in piedi dalla violenza del capofamiglia
e tutti gli organismi statali e parastatali e tutti i sovrapposti e sottoposti
e la violenza legittima sarebbe quella che violenta l’anima mia
bisogna sapere assolutamente in che mondo viviamo
se vedo i miraggi questo non significa che la salvezza non esiste
un tempo mi sembrava a portata di mano da poterla ghermire per sempre

*

l’ultima poesia iscritta tanto faticosamente
riprendere fiato ad ogni parola
squadrare sul vocabolario quella parola introvabile
il tutto era così luminoso intatto e mi sentivo sporco contaminato
non facevo che immergermi nella vasca
tutta quella neve esposta ad un sole precoce
tutta questa gente esposta alla morte
vivrai una vita immortale solo se vivi continuamente nel consueto nell’ovvio
muore chi è veramente vivo ed è continuamente nell’irrepetibile
le ripetizioni l’ovvio il consueto sono senza tempo eterne
chi vive veramente è in una estrema fragilità
il miracolo è avvenuto la cosa no sarà più ripetuta
appena si è mostrata è finita per sempre

*

il sottoscritto è fortunato
il passaggio tra la coscienza e il niente sarà brevissimo
non è destinata a noi una lunga e spettacolare agonia
non sarà per noi l’insulto di essere a lungo vivi senza coscienza
i clinici più rinomati non appresteranno a noi lunghe strazianti agonie
la nostra miseria ci salva
dall’insulto di essere vivi senza più lo spirito nostro
ritorneremo tranquillamente nel niente da dove siamo venuti
è già tanto che il miracolo della mia esistenza ci sia stato
riuscendo perfino a testimoniarvi tutti

*

se l’ago magnetico fosse pensante
crederebbe che è nella massima libertà
quando per tutta una eternità sta ad indicare il polo nord
e qualsiasi impedimento a tale perenne indicazione
sarebbe considerato la più atroce delle tirannidi
e così mi alzo tutte le mattine raccomandate alle 4,30 del mattino
come niente fosse mi dirigo verso la fabbrica e l’inferno
chi è veramente oppresso può esprimere solo l’oppressione
chi tortura vuole che il torturato riconosca il proprio padrone
nelle carceri speciali scriverei le poesie dei miei carcerieri
faccio la gesticolazione più inetta per salvarmi dalla brutalizzazione
sognavo di essere rinchiuso in un ascensore che precipitava
e alla fine del precipitare l’ascensore mi scaraventa proprio nel reparto
evidentemente non c’è più niente che fosse ancora più sotto
tutta una eternità diabolica che i diavoli hanno d’attraversare
chi spera guarda il cielo chi non spera più guarda per terra
Iddio creò tutti questi popoli per il gusto di perderli tutti
si salveranno gli unti i porporati i figli di puttana
e nessuno si domandava perché stava sempre chiusa in casa
a porte sprangate spiando i nostri tramonti
dagli spioncini delle persiane
e si disperava ogni giorno costatando
che c’eravamo ancora tutti
e la salvezza era impossibile

***

Ai compagni con cui ho lavorato
per quasi una vita

Questa notte vi ho sognato tutti
splendidamente vivi
ritornammo a rivedere
tutti gli orrori di quel reparto ridendo
non sono riusciti ad ammazzarci
siamo ancora tutti vivi
nuovi come fossimo risuscitati
non più contaminati della sporca morte

 

Essere insieme

Improvvisamente sul tram quotidiano ho capito che il lato positivo dell’antologia Poesia e Realtà di Giancarlo Majorino è quell’essere insieme, gli atei insieme ai credenti, gli analfabeti con i bene alfabetizzati, quelli della rima e quelli della contro rima, i viscerali con i cerebrali, i nuovissimi con i vecchissimi che muoiono anche a cent’anni, quelli che si sono suicidati e quelli che vivono molto bene, gli ammogliati e gli strozzati, gli avanguardisti e i retroattivi, gli italiani e i sanfedisti, i seri e quelli che irridono anche alla croce rossa con tutto il pappalardo, tutti insieme con le “ali illuminate” perché è questo essere insieme la prova dell’epoca, devono riuscire a vivere in un massacro continuo, devono imparare ad accettarsi così come sono perché è vero quello che mi diceva nonna analfabeta “siamo tutti figli di madri”, le nostre diversità contano meno di tutto quello che abbiamo in comune, quei cuori del manifesto Benetton saranno di neri o di bianchi però i cuori sono tutti uguali, i nostri cervelli simili. Quell’essere insieme come quando ero in quel reparto italiano insieme a tutti i norvegesi, quasi la pecora nera tra i biondi e gli azzurrati eppure eravamo insieme e fummo insieme per diecine d’anni continui. Ero insieme a tutti voi con le vostre tute, con gli ingenui vestiti della domenica, li ricordo uno a uno ora che sono quasi tutti morti. Però ogni tanto tra la folla sento un urlo, vengo chiamato urlato in tutti i modi con nome e cognome che qui sono indicibili in maniera corretta, uno sopravvissuto a tutte le pesti, a tutte le polveri arsenicati e dei metalli pesanti, metallurgiche, a tutte le sudate continue mi chiama, mi abbraccia. Eravamo insieme diversi nello stesso disprezzo per i padroni, insieme quando abbiamo sabotato e scioperato, insieme nei sotterfugi operai, ridevamo insieme e sudavamo insieme senza neppure accorgerci di questo miracolo, l’essere diversi però fraternamente insieme. LDR

Dalla postfazione di Massimo Raffaeli:

“Che Di Ruscio fosse venuto al mondo nella povertà del vicolo Borgia, a Fermo, che fosse autodidatta, un muratore disoccupato e poi un militante di base del Pci di Palmiro Togliatti, che infine fosse emigrato nel ’57 a Oslo per acquisire lo status per lui definitivo di operaio metalmeccanico nella fabbrica fordista (e nel cosiddetto paradiso socialdemocratico), tutto ciò era senz’altro la materia prima, peraltro mai abiurata, della propria condizione personale ma non bastava affatto né basta oggi a spiegare, tanto meno ad esaurire, lo spessore della sua voce poetica, il ritmo e il tono inimitabile della sua pronuncia. La quale è una splendida eccezione, una assoluta singolarità, nel panorama della poesia italiana del secondo Novecento. Non un poeta-operaio come pure e sbrigativamente si è detto tante volte, quasi si trattasse di sommare il sostantivo all’aggettivo, o viceversa, ma un poeta capace di introiettare/metabolizzare/rievocare la condizione umana tout court. La marginalità, il lavoro in fabbrica, un orizzonte politico che il dopoguerra presto richiude, qui in Italia come altrove, ne sono insieme i fondali e i referenti […]”

Luigi Di Ruscio. Poeta. Nasce a Fermo nel 1930. Emigra dalla sua città natale nel 1957, dopo l’esordio poetico nel1953 con Non possiamo abituarci a morire, presentato da Franco Fortini. Si stabilisce ad Oslo, dove per trentasette anni è operaio metallurgico. In Norvegia sposa Mary Sandberg. Hanno quattro figli. Ha pubblicato: Le streghe s’arrotano le dentiere, con la prefazione di Salvatore Quasimodo, Marotta 1966; Apprendistati, Bagaloni 1978; Istruzioni per l’uso della repressione, con presentazione di Giancarlo Majorino, Savelli 1980; Epigramma, Valore d’uso 1982; Palmiro, con postfazione di Antonio Porta, Il lavoro editoriale 1986 poi Baldini & Castaldi 1996, Enunciati, presentazione di Eugenio De Signoribus, Stamperia dell’Arancio 1993; Firmun peQuod, con presentazione dei Massimo Raffaeli, Ancona 1999; L’ultima raccolta, con prefazione di Francesco Leonetti, Manni 2002; Epigrafi, Grafiche Fioroni 2003; Le mitologie di Mary, con postfazione di Mary B. Tolusso, Lietocolle 2004.
Tra i riconoscimenti ottenuti, il premio Unità Genova nel 1953 (presidente della giuria Salvatore Quasimodo); nel 1980, il Premio Camaiore con la raccolta “Istruzioni per l’uso della repressione”; nel 1993 il premio di poesia Franco Matacotta, con la raccolta “Enunciati”. Da ultimo, con Poesie operarie, il premio “In/Civile” 2007 del Comune di San Giuliano Terme.

Luigi DI RUSCIO “Poesie operarie” 

Scelta antologica

Ediesse, Roma 2007

Prefazione di Angelo Ferracuti

Postfazione di Massimo Raffaeli

“Che fare?” – La politica e i partiti.

parlamento-italiano

    Non mi piacciono la politica e i partiti, per come sono, mentre mi piace l’idea che essi possano cambiare prendendosi cura, finalmente, dei bisogni di tutti soprattutto dei più deboli, senza per questo declinare le sfide incessanti del nostro tempo. Per questo sabato scorso ho messo anch’io una firma a sostegno del V-Day. E’ bene quello che produce bene, ho pensato, e se centinaia di migliaia di firme sono utili a favorire una discussione e un cambio di rotta sul sistema politico e partitico, e le sue molte aberrazioni, ben venga questa come altre iniziative similari. Non trovo però giusti né utili la volgarità e la supponenza degli uni e degli altri, che precludono quelle aperture e cambiamenti che tutti ci si aspetta.
    C’è da dire, innanzitutto, che la complessità dell’argomento (ma in fondo tutto ciò che riguarda la politica) rende difficili, se non impossibili, ragionamenti articolati ed esaustivi. E’ facile infatti sconfinare, tematicamente, e generalizzare o definire troppo. Altra riflessione preliminare sta nella risposta (probabile) alla domanda di quanti italiani, realmente, possano dirsi insoddisfatti dell’attuale sistema. Questo perché una parte consistente di cittadini, nel paese, vive nel benessere e non   vuole di certo rinunciarvi. Cittadini con strumenti e con la forza per piegare l’interesse pubblico al loro, personale o categoriale. Un potere costituito da forze trasversali agli schieramenti, che galleggiano nelle alterne vicende della storia senza averne quasi mai svantaggi (politici, grande industria, banche, assicurazioni, categorie di professionisti, vertici di enti pubblici e dei sindacati: le cui proposte negoziali, è bene ricordarlo, una volta recepite in un contratto collettivo di lavoro hanno più forza di una legge dello Stato, che è “nulla” qualora sia in contrasto con clausole contrattuali).

    Tornando alla politica e ai partiti…

• questi ultimi – associazioni non riconosciute al pari dei sindacati – sono a mio avviso organismi dei quali non si può fare a meno: a. per la loro preordinazione ad interagire con le istituzioni; b. per il fatto di essere loro a scegliere i candidati alle varie consultazioni elettorali e i rappresentanti del partito nei vari enti pubblici;
• sempre i partiti, dovrebbero essere (ma non lo sono) organismi attraverso i quali far confluire nelle istituzioni la “migliore linfa” della società civile; essi ci mostrano invece, purtroppo, uno stato di entropia in cui l’auto conservazione (loro, dei loro vertici e dell’ampio sottobosco) è anteposta all’apertura e al dialogo costante con la società; la strozzatura che impedisce il flusso e l’avvicendamento di persone di valore  (dal mondo del lavoro, della cultura, della ricerca etc.) nei vari ruoli istituzionali è l’effetto più evidente di un modello organizzativo disfunzionale che va cambiato;
• la politica e l’attività dei partiti richiedono competenze che maturano con anni di studio e di esperienza sul campo;
• le competenze riguardano soprattutto la conoscenza dell’ampio contesto socio-economico in cui la politica opera; le conoscenze tecniche (giuridico-amministrative sul funzionamento dei principali organi e enti pubblici -Stato, parlamento, governo, regione, provincia, comune etc-); da ultimo, le conoscenze specifiche del settore di intervento (un assessore regionale alla sanità, ad esempio, non potrà non sapere il costo giornaliero di una degenza ospedaliera);
• il cittadino o un gruppo di cittadini, pertanto, difficilmente possono avere piena consapevolezza di una scelta politica (risultato del contemperamento di una serie di interessi) e del suo impatto nel sistema economico, in quello settoriale e nell’ordinamento giuridico (il più ipertrofico del mondo con più di 150.000 leggi), onde evitare incoerenze e l’inapplicabilità sostanziale dei provvedimenti assunti.

    Ciò premesso, è da chiedersi:

• se un’evoluzione strutturale e funzionale della politica e dei partiti – per la funzione di raccordo diretto che operano tra elettorato e istituzioni – possa ridare forza e senso al modello democratico nei suoi presupposti fondanti;
• se un’apertura totale e democratica dei partiti possa costituire davvero un valido contrappeso agli interessi dei poteri forti o, al contrario, il loro ulteriore potenziamento ancora più emarginante per i più deboli; (da qui, la previsione di adeguate forme di controllo che ne scongiurino il pericolo, o che metabilizzino l’ampia partecipazione di cittadini in ampia clientela);
• quale nuovo ruolo, nel concreto, sia possibile chiedere alla politica e ai partiti – nell’ottica del servizio pubblico che, del resto, essi “già si riconoscono” (con finanziamento pubblico annuale e retribuzione con corresponsione di oneri sociali e previdenziali per il proprio personale di segreteria); si potrebbe ipotizzare, solo a titolo di esempio: 1. riferimento per tutte le esigenze e le istanze di carattere politico-sociale dei cittadini (segnalazione di leggi o di misure politiche penalizzanti, o interventi politici auspicati); 2. impulso e coordinamento, sul territorio, di appositi spazi di dialogo e di confronto su tutti i temi della politica e della società in genere, coinvolgendo il mondo della ricerca, del lavoro, della cultura, oltre, naturalmente, i cittadini in genere; 3. documentazione e pubblicizzazione della loro attività anche attraverso un bilancio periodico delle spese e delle cose nel concreto realizzate; 4. intervento e intercessione presso le istituzioni politiche a difesa di interessi legittimi dei cittadini ad essi prospettati; 5. possibilità per gli elettori, in casi gravi, di rimuovere non solo dal partito ma anche dall’incarico politico rappresentanti inefficienti o indegni; 6. accogliere le idee, le proposte migliorative che provengano dalla società civile, non ultimi gli artisti il cui contributo – piuttosto che in mere icone per candidature autorevoli – non può che essere quello di offrire l’unica cosa che naturalmente offrono: la loro personale percezione del mondo, l’azzardo di un sogno.

    Per concludere…

– la politica e i partiti devono accettare la sfida del cambiamento e della trasparenza nell’ottica del servizio ai cittadini, al pari di tutti gli altri servizi pubblici finanziati con denaro pubblico;

– la trasparenza che si va a chiedere riguarda la misura dell’impegno nell’assunzione del servizio; urgono pertanto nuove forme di controllo e di verifica (qualunque organizzazione o istituzione abbandonata a sé stessa, in Italia, lo sappiamo, è destinata alla deriva) non come potere di polizia ma per fare in modo che non venga mai meno la necessaria tensione al miglioramento; presso ogni partito qualunque cittadino (anche su web) dovrebbe poter verificare, ad esempio: 1. la percentuale di presenze “in servizio”, ogni anno, di ogni parlamentare, ministro, consigliere, assessore eletto nelle loro liste; 2. di ognuno, il numero e la natura dei provvedimenti normativi proposti, e degli emendamenti, delle interrogazioni parlamentari, dei voti contro o a favore per ogni singola legge; 3. le attività e le iniziative delle sedi e delle sezioni di partito, i cittadini che vi  contribuiscono;

– i partiti fuori da un percorso evolutivo non devono essere votati; quanto meno quelli privi di una democrazia decisionale interna, in cui le sedi e le sezioni dislocate sul territorio altro non sono che vuote facciate del nulla, che risorgono solo nell’imminenza di consultazioni elettorali;

– a tal fine, con la previsione di nuove ed incisive forme di controllo, è necessario potenziare l’informazione e la loro rapida veicolazione sui media tradizionali e su Internet; 

– è necessario che i cittadini possano esprimere tempestivamente, fattivamente e civilmente, con tutti i mezzi possibili, il loro dissenso riguardo alle iniziative politiche dalle quali si sentono danneggiati.

  

Giovanni Nuscis

“Cinque poesie inedite” di Pasquale VITAGLIANO

aereo

Variazioni sul nero

Come puoi credere di specchiarti nella posa
della tazzina di caffè slabbrata dal tuo rossetto.
Non puoi chiamarla notte, per misurare il tuo digiuno,
come non credo che una macchia in fondo al bere
possa spezzare in due il mio orizzonte.

No, non è un sole nero quella pozza di dolore.
Non è il mare oscuro quel grumo di caffè,
nel quale vuoi riflettere il liquido ignoto del tuo corpo.
Non puoi chiamarmi notte, per misurarmi dentro.

No, non vedo altro in quella tazzina. Vedo solo
che resta là, sul bordo del lavabo ad aspettare
che qualcuno di noi due la lavi. Come puoi credermi,
se non mi patisci.

Nolim me tangere

Non voglio che mi tocchi, sono sveglio,
svuotato non sono ancora, mi sento
e sento il tuo tatto febbrile di ceramica.

Non puoi sciogliere i miei nodi, li sento
di legno, sebbene io sia presente ancora,
carne su tronco, corpo su peso.

Io non risorgo, ma resto sospeso nel sonno
di questo riposto crinale senza ritorno,
appeso nel vuoto come un sipario rotto.

Per via Solferino

Nell’andirivieni del sogno chissà quante volte
mi sarò fermato all’angolo dei Fiori oscuri
per disegnare da madonnaro orfano
il profilo cupo del mio mistero notturno.

Chissà quante volte avrò calpestato il cielo
di vetri rotti lungo il sentiero dei neri cimeli,
che dal fatto compiuto porta dritto
al pezzo stonato di questo solitario concerto.

Tutto torna traccia,

tuonano gli spilli
sul tavolo dei pixel,
senza portare acqua
nel letto di saliva

che dalle vertebre risale
fino al sudore che scende
nella clessidra adagiata
sulle opache vestigia di vetro.

Finis Terrae

Ecco il mio giorno
a metà del viaggio a rovescio,
fatta la sosta nel secolo scorso
m’ingegno di fronte all’ignoto.

Ignorami passato,
perché duole e ti duole
il corpo di felce
sopra il letto disfatto di pene.

Tieniti la luna,
che io mi prendo il giorno,
che qui è così corto
per dare l’incipit al mondo.

Conto a ritroso i passi che restano
lungo il collo marino del sonno
dove il corpo di carne si specchia
senza darsi nome, dove spiro ogni giorno
ed ogni giorno mi desto e non lo so.

Pasquale Vitagliano è nato a Lecce nel 1965. Laureato in Scienze Politiche e Giurisprudenza, ha seguito la Scuola di Giornalismo “Gino Palumbo” della Rizzoli Corriere della Sera di Milano ed è stato redattore-stagista presso il «Corriere della Sera». Giornalista pubblicista, nel 1989 ha pubblicato una raccolta di poesie con prefazione di Niki Vendola. Una sua silloge è stata pubblicata sulla Rivista Letteraria on line «Rottanordovest». E’ stato finalista del premio di poesia Città di Procida nel 2003. Menzione speciale nel 2005 al Premio di Poesia Lorenzo Montano Città di Verona. Più volte selezionato per l’Agenda Poetica Annuale edita da LietoColle. E‘ editor e critico letterario per diverse riviste locali e nazionali. Presente nel nucleo originario della Redazione di Italia Libri (2000-2006), nel 2006 ha curato l‘Antologia della Poesia Erotica contemporanea per la sezione riservata a ItaliaLibri

“Stato di vigilanza” di Gianfranco FABBRI

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 Pubblicato su:

http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/09/13/stato-di-vigilanza-di-gianfranco-fabbri/#more-2718

   “Stato di vigilanza” è orecchio sul cuore espanso e volatile della vita per auscultarne il battito, le apnee, le accelerazioni; è sguardo sulla sua tangibile consistenza, sull’impalpabile essenza. E noi, leggendo, ne seguiamo la traccia di visione, la militanza di attenzione e di parola.
     Ma questo, a ben riflettere, è ciò che ognuno dovrebbe fare: da uomo, prima che da poeta, e che di rado si fa, piegati sulla porzione di mondo strappata e difesa coi denti. Il poeta è colui che si assume il compito di guardare là dove altri non arrivano o dove girano la faccia. Un compito assunto non per dovere sancito, ma perché non saprebbe fare diversamente; in questo egli gioca la propria esistenza, mettendoci tutto sé stesso.
     Ma “stato di vigilanza” può significare anche altro: lo stato psicofisico di chi è indenne da patologie che riducono o annullano la capacità di veglia e di attenzione  (questa seconda definizione, al pari di altre nella raccolta, è mutuata dalla terminologia medica; a partire dal titolo della prima sezione).
     Proprio la capacità di veglia e di attenzione, introflesse al nostro intimo ma pure orientate all’ampio mondo in cui viviamo, non ultimo quello della poesia – e apriamo ora un doveroso inciso – è qualità ben presente in Gianfranco Fabbri, critico e operatore culturale oltre che poeta. Il suo litblog La costruzione del verso & e altre cose è uno spazio dedicato al lavoro poetico e al confronto con altre esperienze. Un impegno, il suo, prezioso ed ammirevole al pari di quello di altri poeti e narratori che fanno dono del proprio spazio e tempo alla comunità letteraria. Chi scrive è però convinto che questa apertura abbia sempre un ritorno, non solo in termini di amicizia ma per l’accelerazione esperienziale che essa comporta.
     Le precedenti pubblicazioni di Gianfranco Fabbri sono: “I ragazzi del Settanta”, Campanotto editore, Udine, 1989 – “Davanzale di travertino”, Campanotto editore, Udine, 1993 – “Jennifer” (prosa), Fernandel, Ravenna, 1995 – “Album italiano”, Campanotto editore, Udine, 2002.
     L’ultima raccolta si sostanzia in cinquantanove poesie suddivise in sei sezioni. In quella iniziale, Prima del radiogramma (= lastra fotografica su cui resta impressionata in negativo l’immagine radiografica – De Mauro), in un’atmosfera albale e di attesa entità polimorfe (maschi e femmine, vivi e morti) fluttuano tra luoghi fisici e stati emotivi a volte quasi impercettibili (“si vive piano, nella fessura/della scomposizione a cielo aperto”, “Quest’anima di coccio/elusa da ogni forma d’affetto,/oggi ti cerca in ogni luogo;/ avvince i tuoi nemici,”); gli uni incontro agli altri (“I bei fiori ti cercano”, “Ti aspettano i tuoi cani”), in una condizione che assurge a modus vivendi: “Avvicendarsi al tempo,/che conclude il suo ciclo,/è affidarsi al valore delle cose,/ad ogni giorno che Iddio/mette sotto il cielo. Ora/vedi, mio caro,/non sta più a noi/combattere incupirsi/per ogni nuvola che passa:/a noi conviene accogliere/di questa nube il sogno,/la forma e il peso/come fosse un trofeo.”; “Hai deciso di auscultare/la parte del cervello/che più conserva l’ambiente/nell’utero, di quando,/all’infinito,/ricalcolavi il sogno dei sorrisi.”
     L’auspicio di un assetto, più che di un approdo, si coglie nei testi delle sezioni successive, a partire da Presa di posizione (“Cerca piuttosto il tuo respiro; contane le frequenze,/fa’ che l’ampiezza sua si apra/nelle curvature e conceda/su di sé la pace […]”). Assetto immancabilmente fluido ed instabile, per attriti e collisioni interne e con l’esterno (“La rivolta di te verso la tua stessa persona è l’aperta battaglia degli oggetti nei tuoi confronti.”); senza per questo escludere (“Gli oggetti, i sogni e l’altra vita”) il definirsi di elementi, l’affiorare della natura – umana o fisica – dalla sostanza acquorea in cui è immersa: “Calice, langue/dentro di sé la goccia/di un vino sconosciuto./Ormeggiano le blatte sopra di essa/con la dovizia di chi parte all’assalto.”; “Il vaso di peltro,/vista l’oscurità che avvolge/la camera da letto,”; “Oggi mi sento altrove:/ho tanto blu da inondarlo/ovunque sia possibile dipingere.” Stati emotivi s’intrecciano o s’alternano, talvolta, con rapide, incisive descrizioni, o quadri pittorici (di nature morte o assorte) affidati a pennellate di pochi versi, che finemente concatenano sfondi e atmosfere, come il fluttuare che si fa condizione oggettuale ed interiore: “Raccontami/di te; fosse soltanto/per dirmi che il tuo sangue/concluderà il suo moto dentro il cuore.”; “Satellite di me, tento di darmi/all’ignoto che passa; profeta,/accondiscendendo a gestazioni gemelle.” Atmosfere percorse da micro eventi – understatement volto a richiamarci la prevalente ordinarietà del quotidiano e della vita? – resi attraverso immagini e sequenze diafane, e che pure s’accendono all’improvviso, talvolta, rivelando metafore che aprono ad opzioni di senso: “La rosa, molto s’è lamentata/questa notte: diceva al vaso/dei suoi dolori ai petali,/di certe nostalgie, dei tempi andati.” “Nella poesia di Gianfranco Fabbri” – definito da Nicola Vacca, nella sua prefazione, un “minimalista metafisico” – “le parole escono come incidenti dalla bocca apparentemente solo per fermare sulla pagina le tracce, gli indizi e gli altri elementi da decifrare di un vissuto che scorre con i suoi frammenti presenti ma segreti”. La verità, sembra dirci il poeta, si trova negli interstizi della vita e della storia, intrisa nei suoi scampoli – piuttosto che nell’ampio e pretenzioso affresco – o dentro una vena giocosa, lieve, umoristica: “Vorrei invitarmi a ballare, ma sono timido: non oso./Avvampo. Mi sudano le mani./E’ perché mi interesso. Muoio dalla voglia di corteggiarmi, ma retrocedo sempre in me stesso senza una ragione.”
     La rinuncia allo “stato di vigilanza”, per stanchezza o per ponderata scelta, ci avverte Gianfranco Fabbri, è decisione da prendere con estrema attenzione:

Hai venduto il tuo sistema nervoso,
L’hai dato
via per poco, come se fosse
qualcosa di funesto da tenere.

Ed ora?

Perfetti sconosciuti
ti hanno raggiunto
con chiavi inglesi in mano;

                   svitata ti hanno
                   la tua calotta bella:

te l’hanno aperta.
Messe dentro le mani;
tirati su
fili di sangue, melma.

                   Staccata poi la spina;
                   spenti i neuroni.

(The end)

GN

Gianfranco FABBRI – Stato di vigilanza

Manni 2006

Prefazione di Nicola Vacca

“Quattro Poesie” – 9 settembre 2007 – Resoconto di Antonio FIORI

Lungomare Dante Aghero

 

Rita Bonomo

Savina Dolores Massa

Luisella Pisottu

Margherita Rimi

 

 

                    Alghero – Lungomare Dante – Saletta del Caval Marì – ore 20,30

 

 

 

Tutti gli sguardi erano per loro, per le ‘nostre’ poete. Dopo i canonici ( e un po’ caotici ) preparativi, un faretto su un omino di legno annuncia in passeggiata la serata di poesia.  Giovanni Nuscis porge i saluti, Antonio Fiori introduce le autrici: l’attesa è all’apice. In rigoroso ordine alfabetico, un pubblico attentissimo gusta due tornate di letture, tutte rigorosamente d’autore, interpretazioni autentiche dei testi, senza riti e senza ausilio d’altre arti. Rita è emozionata come mai e rigogliosa come sempre, voce calda e poesia trascinante; Savina è incontenibile nel pantagruelico vocabolario ed una  forza leonina insospettata la sorregge nei drammi recitati; Luisella è misurata e dolce, limpida parola e attentissima dizione; Margherita, generosamente qui dall’altra Isola, si rivela voce gentile per testi mirabili. Alla fine ricordiamo Daniela ch’è lontana, e ne leggiamo strofe per omaggio, affetto e stima. E’ andata così, la serata, amici. Grazie a quei trenta ( molti ) spettatori, alle poete e a tutti voi che le leggete.

Antonio FIORI

 

 

“Poesia e impegno civile” di Stefano Giovanardi

dante alighieri

La poesia è di per sé scandalosa, di per sé rivoluzionaria, la poesia è “di per sé”. Quando è vera poesia, di per sé può cambiare le cose”.

Stefano Giovanardi

*La funzione del poeta impegnato è quella di “avvelenare i pozzi”
*La distanza tra la realtà e il linguaggio poetico
*La poesia di guerra
*Il poeta e la politica
*L’esilio del poeta
*Rimbaud e la modernità
21 marzo 2000

 

Puntata realizzata con gli studenti del Liceo Scientifico “Elio Vittorini” di Milano

GIOVANARDI: Mi chiamo Stefano Giovanardi. Sono docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Pavia, e “critico letterario” presso il quotidiano “La Repubblica” e il settimanale “L’Espresso”. La puntata odierna è dedicata al tema “Poesia e impegno civile”. Prima della discussione osserviamo una scheda filmata.

Poesia e impegno civile non trovano facilmente un accordo, poiché ciò che vi è di autentico nell’espressione poetica sembra parlare una verità dell’uomo e del mondo, che trascende sempre la visione a una sua particolare verità storica. La poesia vive della possibilità di trasfigurare in ogni momento un modo di dire e una visione delle cose in un evento completamente nuovo. Perciò, molte volte, nella storia della cultura occidentale, qualcuno si è arrogato il compito di mettere in riga i poeti, bandendoli dalla Repubblica o predisponendo per loro uno spazio legittimo di espressione. La poesia e la letteratura vivono, quindi, nella lotta contro la loro degenerazione nel moralismo e nella falsificazione della realtà. Ma questa battaglia per la sincerità dei gesti e degli sguardi, per l’autenticità per ciò che ci attrae e riempie la nostra vita, oppure che la svuota e la rende vuota, questa battaglia ha un’importanza capitale per la difesa degli esseri umani. La poesia ci racconta della dimensione contingente e particolare degli interessi umani, della molteplicità e la diversità degli orizzonti di vita. Da essa, come dalla buona arte, apprendiamo come distinguere tra ciò che è profondo e ciò che è banale, tra il sentimento autentico e il sentimentale, tra l’equanime e il tendenzioso. Apprendiamo lo sforzo di superare le fantasie personali per descrivere la realtà nella sua varietà, che nessuna ideologia o religione può mai racchiudere in una formula. Ma questo insegnamento trae la sua forza dall’indipendenza della poesia dalla politica e dalla morale, dalla sua libertà. Come apprendere tale insegnamento senza mai rovesciarlo nel suo opposto, nell’arte per l’arte, nella chiusura dell’estetica alla vita?

STUDENTESSA: Che cosa si intende per “impegno civile” e quali forme assume nella poesia?

GIOVANARDI: Qualsiasi poesia ha una ricaduta sulla società a cui viene diretta. La funzione sociale della poesia è pertanto una funzione naturale, connessa proprio con il suo essere nella storia. Si sono dati momenti storici in cui si riteneva che la poesia dovesse aprirsi ad alcuni argomenti e non ad altri: ai problemi della società, della storia e della cronaca, piuttosto che ai problemi dell’individuo, dell’emotività e dello stare al mondo privato. In questi momenti si suole individuare come movente della poesia quello che attualmente si preferisce definire “impegno civile”. Tuttavia l’impegno civile nella poesia è sempre esistito. Basti pensare a La Divina Commedia di Dante.

STUDENTESSA: È più il contenuto o la forma utilizzata che rende un componimento poetico o una poesia di “impegno civile”?

GIOVANARDI: L’uno e l’altro. Potete notare che vi sono accanto a me due oggetti molto significativi: una carrucola e una bottiglia di veleno. Questi oggetti si riferiscono a una frase del poeta e critico fiorentino Franco Fortini, scomparso sei anni fa, il quale, nel suo libro di narrativa Verifica dei poteri, scrive che funzione del poeta impegnato è quella di “avvelenare i pozzi”. L’avvelenamento dei pozzi sostanzia un’operazione subdola, in quanto non comporta uno scontro diretto. Funzione del poeta è pertanto quella di instillare segni all’interno degli organismi sociali e culturali, al fine ultimo di scardinare gli equilibri costituiti. A questo fine rivestono una estrema importanza sia il momento della scrittura, noi diremmo il “momento formale”, quanto quello del contenuto. Possono esservi poesie contenutisticamente violente, dal punto di vista della denuncia, ma che adottano una lingua oramai logora e ossificata, che rende di per sé il messaggio inefficace, perché è una lingua che è stata forgiata proprio dalla classe contro la quale si rivolge. D’altra parte si danno poesie il cui contenuto è perlomeno ambiguo, o comunque non raggiunge i toni di una denuncia, ma che sono scritte in una lingua atta a scardinare gli equilibri costituiti. L’impegno della poesia, proprio perché riguarda la natura della poesia, va verificato nell’interezza della stessa, nella sua totalità, in cui entrano inevitabilmente e, in eguale misura, gli esperimenti formali e i messaggi contenutistici.

STUDENTESSA: Perché un poeta dovrebbe scegliere proprio la poesia come mezzo di trasmissione dei valori sociali?

GIOVANARDI: L’essere poeti significa entrare comunque nella sfera dell’estetica, entrare comunque nella produzione artistica. Non credo che si decida di essere poeti. La poesia non deve subire una decisione, ma una forza interiore. Considerate la forza interiore e la decisione del poeta di assumere un ruolo sociale, e pertanto di entrare nel circuito comunicazionale, l’espressione artistica viene caricata di una serie di valori, scelti, di volta in volta, in base alle contingenze storiche o alle esigenze psicologiche dell’autore. Non ritengo che si diventi poeti per essere “impegnati”. Si è poeti anzitutto, e, in determinate circostanze della propria vita, si è anche poeti “impegnati”.

STUDENTESSA: La poesia moderna sembra diventare sempre più incomprensibile. Ciò non rischia di vanificare a priori ogni tentativo di impegno civile? Se si tratta di un impegno civile, la poesia dovrebbe utilizzare un linguaggio accessibile a tutti. Oppure si può concepire un impegno civile riferito solo a pochi, una poesia di impegno civile ma “elitaria”?

GIOVANARDI: Si suole far decorrere la poesia moderna dal “simbolismo”, ossia da quel particolare movimento poetico nato in Francia negli ultimi decenni dell’Ottocento e il cui testo-base era Il pomeriggio di un fauno di Stéphane Mallarmé. Detta poesia constatava la distanza incolmabile tra la realtà e il linguaggio poetico. È una poesia che, attraverso il linguaggio poetico, vuole arrivare all’inesprimibile, vuole essere rivelatrice dell’infinito, e, per questo, necessariamente infinita. La poesia simbolista appartiene comunque alla sfera dell’universale, in quanto esprime l’universale emotivo, rappresentato dall’universale del simbolo. È difficile definire la poesia simbolista civilmente impegnata, significando con ciò l’apertura, la denuncia o la conoscenza del mondo o della realtà. È vero anche che spesso la poesia fa dell’indecifrabilità il suo obiettivo. Non è detto che queste forme non abbiano una ricaduta sull’immaginario collettivo, in un senso o nell’altro. Quando Eugenio Montale scrive: “Codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”, non sta redigendo un manifesto politico, né facendo una denuncia, ma sta parlando di una condizione individuale, ossia di una condizione di cui l’uomo si trova a potere esprimere soltanto la negatività. Si ravvisa in ciò la constatazione di una condizione umana riferibile a una società, riferibile a una storia, riferibile a un momento storico, che è quello che il poeta sta vivendo. La poetica del negativo risulta pertanto molto più eversiva e molto più efficace di qualsiasi denuncia aperta in cui si diano ricette in positivo per il cambiamento della società. Messaggi che apparentemente od esclusivamente riguardano la soggettività del poeta possono sortire un impatto sulla società dagli effetti imprevedibili. È vero che la poesia moderna è spesso ambigua e incomprensibile, ma è anche vero che l’incomprensibilità può diventare un grimaldello che consente di smascherare talune realtà.

STUDENTESSA: Noi abbiamo deciso di portare una cartolina di richiamo alle armi e la poesia di Giuseppe Ungaretti: Soldati

si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie”

(Bosco di Courton luglio 1918)

Non è forse Ungaretti colui che meglio esprime l’impegno civile in una poesia? La poesia di guerra ungarettiana non è già un modo per dimostrare l’impegno civile?

GIOVANARDI: La poesia può sicuramente essere patriottica. Del resto, la poesia del Romanticismo Italiano è una poesia patriottica per elezione. Sull’impegno civile di un poeta come Ungaretti io avrei francamente qualche dubbio. Con ciò non intendo svalutare la poesia ungarettiana. “Soldati, si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” si riferisce alle condizioni della trincea e alla precarietà delle vite umane in guerra, ma in un alone di soggettività del poeta fortemente imperante. L’io del poeta domina la scena. Sono atomi di una emozione fortemente soggettiva, sensazioni di un attaccamento alla vita dell’io che emergono in primo piano. In tutte le poesie di trincea di Ungaretti, raccolte ne Il porto sepolto, è presente il protagonismo del soggetto, il protagonismo dell’io, che inevitabilmente relega in secondo piano il dramma collettivo della guerra. Un effetto di “impegno” può scaturire da qualsiasi cosa. Si può recepire un messaggio “impegnato” anche da Il porto sepolto. Tuttavia, avendo a mente la volontà di partenza dell’autore e la destinazione che l’autore ha inteso dare a queste poesie, ho più l’impressione che siamo sul piano dello sfogo privato e dell’esaltazione della soggettività, che su quello della denuncia degli orrori bellici.

STUDENTESSA: Italo Calvino ne Le lezioni americane scrive che la letteratura deve trattare fin quello che ci circonda con uno “stile leggero”. Secondo Lei, è possibile associare lo stile leggero all’impegno civile? Non si cadrebbe in questo modo nel superficiale?

GIOVANARDI: Credo che sia possibile associare lo stile leggero all’impegno civile. D’altra parte non credo e non deve esistere una ricetta di poesia, o di letteratura, “impegnata”. La letteratura può trarre valenze sociali da qualsiasi cifra espressiva. Si può sicuramente evincere tutta una serie di messaggi tanto da un discorso leggero quanto da uno stile più solenne e più retorico. Il Novecento annovera svariati esempi di una letteratura di denuncia, di una letteratura realista, che tuttavia, per il modo assolutamente falso in cui si poneva, finiva per ottenere l’effetto opposto a quello che si era prefisso. La letteratura di impegno può facilmente diventare una letteratura di propaganda a favore di un partito o di un regime. Le storture della letteratura realista, durante lo stalinismo, sono sotto gli occhi di tutti. Ben vengano la leggerezza di Calvino e il modo, anche apparentemente disimpegnato, di porsi di fronte a determinati problemi, perché possono avere un’efficacia maggiore ai fini di un dibattito culturale sempre più ampio.

STUDENTESSA: La trasmissione dei valori sociali, che nel passato era affidata soprattutto ai poemi lirici, può essere oggi confluita in altri mezzi di comunicazione, come, per esempio, la musica o la pubblicità?

GIOVANARDI: Non credo che nel passato la comunicazione sociale fosse affidata essenzialmente ai poemi lirici. La lirica ha sempre avuto un ruolo abbastanza marginale, da questo punto di vista. Dal Settecento in poi, se c’è una forma letteraria destinata a veicolare messaggi di comunicazione sociale, questa è il romanzo. Se Lei si riferisce all’Eneide, è più opportuno parlare di “poesia epica”. Il “poema didascalico allegorico”, di cui La divina commedia dantesca è un esempio, ha invece una forte impronta narrativa, e si propone di impartire precetti morali e religiosi o di diffondere teorie filosofiche, estetiche e scientifiche. La lirica è un genere poetico maggiormente legato all’espressione della soggettività, all’espressione dell’io. Con ciò si definisce la poesia lirica. Trovo estremamente difficile che si possano nascondere messaggi forti, di comunicazione sociale, dietro la poesia lirica. La poesia lirica di per sé è l’espressione dell’io, dei sentimenti, delle emozioni, dei dolori. La poesia lirica comunque riguarda la soggettività, non la collettività. Quanto alla sostituzione della pubblicità o di altre forme alla letteratura, come promotori di una comunicazione sociale, credo che il ruolo della letteratura in tal senso si sia molto ridimensionato. Il cinema, per esempio, è un mezzo infinitamente più diretto e più eclatante, sotto il profilo del rapporto con il pubblico. La collocazione della letteratura nella società attuale tende a essere alquanto marginale rispetto a quella della televisione, del cinema, della pubblicità, o di altre forme di comunicazione. Questo non vuole essere un de profundis alla letteratura. Io sono convinto che la letteratura è una forma d’arte e, come tale, praticamente eterna. A proposito della specificità della letteratura e del ruolo dello scrittore rispetto al sociale, vediamo questa breve dichiarazione filmata di Pier Paolo Pasolini.

PIER PAOLO PASOLINI: Io credo nel progresso. Non credo nello sviluppo e, nella fattispecie, in questo sviluppo. Ed è questo sviluppo, semmai, che dà alla mia natura gaia una svolta tremendamente triste, quasi tragica, perché, appunto, non sono un sociologo, un professore, ma faccio un mestiere molto strano, che è quello dello scrittore. Sono direttamente interessato a quelli che sono i cambiamenti storici, cioè io tutte le sere, tutte le notti, la mia vita consiste nell’avere rapporti diretti, immediati, con tutta questa gente che io vedo che sta cambiando.

GIOVANARDI: Contrapponendo lo scrittore al sociologo e al professore, Pier Paolo Pasolini allude a un rapporto, quello della letteratura con la realtà, maggiormente diretto e immediato. Il rapporto del sociologo o di qualsiasi altro ricercatore con la realtà parte da una serie di presupposti, culturali, disciplinari, storici, che necessariamente lo condizionano. Pasolini coltiva l’idea di una letteratura svincolata da qualsiasi parola d’ordine, e di tipo ideologico, e di tipo politico. Nel mondo a cui lo scrittore si rivolge si può cogliere l’originalità della poetica pasoliniana.

STUDENTESSA: Il poeta che milita in un partito politico, e che decide di trasmettere le proprie idee e i propri valori attraverso le proprie poesie, non rischia di fare di quest’arte uno “slogan”?

GIOVANARDI: L’avvelenare i pozzi di Fortini dice proprio questo, che la letteratura, anche la più reazionaria e la più disimpegnata possibile, è da preferire a qualsiasi altra forma letteraria fortemente ideologizzata. Fortini esprime il suo dissenso sulla dialettica politica che si manifesta all’interno del sistema borghese, perché, nella società neocapitalistica, la prima non può che soddisfare gli interessi della classe al potere. La polemica di Fortini tocca punte decisamente estremistiche, ma sottende una misura di verità. Quanto più la poesia vuole farsi cassa di risonanza di parole d’ordine che non le appartengono, e che appartengono ad altri universi di discorso, tanto più perde efficacia, sia sotto il profilo del valore letterario, sia dal punto di vista del fine sociale che si propone.

STUDENTESSA: Posto che l’autore è libero di esprimere ciò che desidera, se la poesia si fa espressione delle idee, per quale ragione questa deve essere interpretata come un asservimento al potere?

GIOVANARDI: Non si tratta infatti di un asservimento al potere puro e semplice. Il poeta mantiene una sua libertà di espressione. Nel corso del Novecento sono emerse parole d’ordine piuttosto invasive, di stampo politico e ideologico. È sempre esistito un margine tra le autentiche volontà dell’individuo-poeta e quanto effettivamente delegato al poeta da forze che con la poesia non sono rapportabili. Il Brecht “lirico” è l’esempio che si può fare della grande poesia con dei contenuti squisitamente politici. Il problema non sussiste quando la scelta del poeta è perfettamente libera, perché concerne il proprio modo di stare al mondo e di confrontarsi con una volontà che può diventare imperativa, quale è quella di cambiare lo stato delle cose. Le cose cambiano quando la poesia deve rendersi espressione di parole d’ordine precostituite. In questo caso si riduce il valore complessivo del lavoro letterario.

STUDENTESSA: La poesia è penalizzata da una diffusione alquanto limitata. Non è paradossale una poesia di impegno, proprio per il fatto che i suoi temi sociali non possono essere portati alla conoscenza di tutti?

GIOVANARDI: Non credo che sussista un problema di maggiore o minore diffusione, per quanto riguarda l’arte. È vero che l’arte novecentesca trova nel rapporto con il pubblico una carica sicuramente superiore a quella di altri secoli. Viviamo in una società di massa, in cui l’universo del sociale incombe molto più che in altre epoche. Occorre non confondere il problema legato alla diffusione con la marginalità del ruolo ricoperto dalla poesia. L’idea della inutilità della poesia attraversa tutto il Novecento. Basti pensare al Lasciatemi divertire di Aldo Palazzeschi. Paradossalmente proprio la dichiarazione di inutilità può avere una ricaduta sociale positiva. Ci si porta a chiedere perché questo mondo non chiede più nulla ai poeti, perché la poesia è diventata inutile, perché essa non ha più un ruolo. Benché lo straordinario valore artistico dei suoi dialoghi lo ponga tra i più grandi scrittori di ogni tempo. Nella La Repubblica Platone bandisce l’arte, e quindi la poesia, dal suo Stato ideale in quanto meramente sensibile e imitativa. Nel momento in cui un poeta dichiara la sua inutilità egli sta lanciando un messaggio sociale. Che lo colgano venti persone o che lo leggano in duecentomila è un problema assolutamente secondario.

STUDENTE: In passato molti poeti, come Pablo Neruda, sono stati esiliati perché svolgevano attività contrarie al regime e perché militavano in un partito. Attualmente in che modo si attua la censura e come si può distinguere da reati come l’apologia di reato?

GIOVANARDI: Pablo Neruda è stato esiliato da un regime fascista, dunque totalitario. La censura evidente consegue sempre a regimi totalitari, di un segno o dell’altro. È fin troppo chiaro che non è necessario esiliare un poeta o ucciderlo. Basta non parlarne. Nelle società democratiche in cui però la comunicazione di massa ricopre un ruolo fondamentale alcune forme di censura, implicita, strisciante, fatta attraverso il silenzio, possono risultare molto dannose. Non si tratta di censurare questo o quel poeta. L’ultimo caso di ostracismo violento nei confronti di un poeta in Italia è stato quello occorso ai danni di Pier Paolo Pasolini, il “poeta scandaloso”. Da una parte v’è la censura della poesia, ossia di quel tipo di forma e di espressione, dall’altra la censura di tutto quello che non ha una immediata ricaduta massmediologica. Viviamo nella società dello spettacolo. La poesia è indubbiamente poco spettacolare. Dalla società dello spettacolo può venire una forma di censura persino più insidiosa di quelle violente dei vari dittatori, o dittatorelli, che si sono susseguiti nel corso della storia.

STUDENTESSA: Lei prima ha affermato che l’impegno civile è sempre stato presente nella poesia. A me sembra che l’impegno civile della poesia antica fosse un po’ diverso da quello della poesia moderna. Questo perché l’impegno civile della poesia antica era meno programmato di quello attuale. Lei condivide questa argomentazione?

GIOVANARDI: Occorre anzitutto chiarire che cosa si intende per poesia antica. Un frammento del poeta greco Alceo, del VI secolo avanti Cristo, dice: “Ubriachiamoci, perché è morto Mirsilo, e siamo tutti contenti”. Mirsilo era un tiranno dell’isola di Lesbo in cui nacque e visse Alceo. I modelli sociali dell’epoca erano meno articolati e complessi di quelli attuali. L’impegno e le conseguenti forme di denuncia erano inevitabilmente diverse. Alcuni aspetti non venivano presi in considerazione. Il livello e la natura dell’impegno varia e si evolve a seconda dell’evolversi dei modelli sociali nei quali la poesia si colloca, benché l’intenzione sia sempre la stessa. La volontà del poeta impegnato verte sempre sul conoscere, sul denunciare e sul cambiare.

STUDENTESSA: Quali limiti deve osservare la poesia legata all’impegno civile per non cadere nella retorica e nel moralismo?

GIOVANARDI: A mio avviso il limite principe è l’autenticità. È l’autenticità dell’autore, del poeta. Per autenticità non si intende un modo di esprimersi “diretto” e senza riflessione. La poesia è comunque artificio. L’uomo non parla in versi. Occorre sicuramente un intervento a freddo da parte del poeta. Qui si parla dell’autenticità del sentire che in seguito assume i propri strumenti linguistici. Gli strumenti linguistici non sono neutri. Tanto meno si è autentici, tanto più si sarà retorici, e tanto più si affiderà l’intera costruzione poetica alla forma dell’espressione. La maggiore autenticità, a parità di artificiosità nelle forme espressive, renderà sicuramente inferiori i tassi di gioco retorico e di fredda sperimentazione. Non esistono ricette a questo proposito. L’uomo può soltanto recepire dei prodotti finiti. In base al prodotto finito l’uomo potrà accorgersi o stabilire se si tratta di una poesia morale o di una poesia moralistica, di una poesia impegnata o di una poesia che fa della mera retorica. Quel che conta è che dietro l’artificio poetico ci sia l’autenticità del sentire.

STUDENTESSA: Riguardo alle facoltà di denuncia e di cambiamento proprie della poesia di fronte alle contingenze storiche difficili, volevo chiederLe se l’unica funzione rimasta alla poesia sia quella di alleggerire l’animo, vista la complessità della realtà nella quale viviamo. Uno scrittore e poeta recente, anche abbastanza famoso, Vazquez Montalban, rimprovera a Arthur Rimbaud il fatto di aver voluto cambiare il mondo con la poesia, e dice: “Nessun labirinto può alterare il risultato”.

GIOVANARDI: Della poesia di Rimbaud ricordo l’impegno profuso nel “cambiare la vita”, “changer la vie”, non il mondo. La poesia può aiutare a cambiare la vita, ma non è detto che la vita si debba cambiare in un senso o nell’altro. La poesia è un’esperienza intellettuale che veicola una serie di valori emotivi e psichici e contiene in sé una gamma di visioni del mondo. Un possibile mutamento prodotto dalla poesia non riguarda necessariamente la gestione sociale o politica del mondo. Per cambiare il mondo bisogna cambiare la vita, per cambiare la vita occorre che cambino gli individui. La poesia può farsi manifestazione di questa necessità. Quanto più il mondo in cui la poesia nasce è complesso, tanto più l’apice dei margini di libertà si riduce, e tanto più è difficile il lavoro del poeta. Un Rimbaud che postula la modernità e il cambiamento della vita oggi si troverebbe in difficoltà, perché la modernità attuale è andata orientandosi verso una ossificazione dell’esistente. La società dello spettacolo, la civiltà di massa, la globalizzazione, stanno portando a un immobilismo delle coscienze, delle individualità, delle vite. È indubbio che, in una situazione del genere, il ruolo che può svolgere la poesia, come esperienza intellettuale e come scandaglio emotivo e psichico, diventa più arduo.

STUDENTESSA: Lei prima sosteneva che la poesia è un’esperienza intellettuale. Io non sono propriamente d’accordo. Credo che la poesia sia soprattutto una esperienza di vita. Mi viene da pensare a tutti i poeti della Resistenza, e a Primo Levi. Quelle sono esperienze di vita e sono pagine, a mio avviso, di autentica poesia. La poesia, quindi, non risponde solo ad un’operazione intellettuale.

GIOVANARDI: La poesia è un’operazione intellettuale allo stesso modo in cui lo è scrivere una lettera. Rimanda al rivivere un’esperienza di vita, una condizione psichica, o una condizione emotiva, alla luce di una elaborazione intellettuale. Nel momento in cui si scrive si compie una elaborazione intellettuale. Io non credo che la poesia debba legarsi ad esperienze di vita particolari, non comuni. Si sono dati grandissimi poeti, dalla vita apparentemente piatta, ma che avevano un serbatoio psichico molto consistente. Molte volte il risultato di un impegno può essere del tutto indipendente dalla volontà dell’autore. D’altra parte le grandi contingenze storiche favoriscono una presa di coscienza da parte della poesia.

STUDENTE: Se il poeta vive in una società che lo coinvolge e lo influenza, potrà comunque scrivere poesie non impegnate civilmente?

GIOVANARDI: Non vi è prescrizione che tenga, per quanto riguarda la poesia. Ogni individuo è coinvolto in qualcosa. Tuttavia, quale che sia il coinvolgimento nel sociale, ogni individuo può parlare d’amore. Parlando d’amore il poeta rischierebbe la sua posizione sociale? Assumerebbe un impegno civile? Io dico di no. È nondimeno scontato che una poesia d’amore possa avere una ricaduta di tipo sociale o politico. È importante che la poesia abbracci una dimensione totale, una dimensione in cui l’uomo poeta entri in tutto e per tutto, qualsiasi sia il campo di applicazione. Nel caso contrario la poesia non entra nel circuito della storia.

STUDENTE: Abbiamo scelto il sito Internet dedicato a Giuseppe Ungaretti dove abbiamo trovato questa poesia: http://www.club.it/autori/grandi/giuseppe.ungaretti/poesie.html

Fratelli
Mariano il 15 luglio 1916

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli

Le parole di pace di questa poesia potrebbero essere paragonate, secondo Lei, a quelle più propriamente di guerra dell’”Inno” di Mameli?

GIOVANARDI: L’alternativa storica all’Inno di Mameli è il “Va pensiero sull’ali dorate” di Giuseppe Verdi. Un discorso così pacifista va bene come manifesto. L’Inno di Mameli è un classico esempio di poesia volontariamente impegnata. In situazioni diverse un messaggio pacifista può risultare altrettanto forte, altrettanto dirompente. La poesia è di per sé scandalosa, di per sé rivoluzionaria, la poesia è “di per sé”. Quando è vera poesia, di per sé può cambiare le cose.

Puntata registrata il 19 Gennaio 2000

Da: Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche

www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=643

Copia di i_bastioni_di_alghero_big

                                                    “Quattro poesie”

                                                 Domenica 9 settembre alle 20,30,

                                  Alghero, presso il “Caval Marì” (Lungomare Dante)

                                                lettura di poesie al femminile con:

                                                             Rita Bonomo

                                                     Savina Dolores Massa

                                                           Luisella Pisottu

                                                          Margherita Rimi

                             Le autrici proporranno al pubblico i loro lavori più recenti editi e inediti

                                       L’iniziativa è promossa dalla Libreria “Il labirinto” di Alghero

                             col sostegno organizzativo della Associazione “Verba Manent” di Sassari

 

                                                  …Sul blog Libri & Dintorni è nato un bel dibattito:

                                                    http://libriedintorni.splinder.com/post/13730976