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Diario di Helga Deen tradotto in Italia da Marika Viano,
uscito nel 2009 per Rizzoli
Corriere della sera del 16 gennaio 2009
Testimoni. Esce da Rizzoli il quaderno della diciottenne olandese scritto nel campo di concentramento e rimasto segreto per quasi sessant’anni
Diario di Helga, l’ amore perduto in un lager
Le lettere al fidanzato dell’«altra Anna Frank»
Sabato 12 giugno 1943 Oggi sono passati 2 mesi e mi sento così profondamente infelice. Per tutto questo tempo sono stata allegra e forte, anche se sono successe tantissime cose incresciose, talmente tante che non si possono appuntare tutte. Abbiamo dormito troppo poco e io sono così terribilmente stanca che a volte tutto si accumula. Forse sono una grande egoista, ma tutti i giorni arrivano dei pacchetti e Greet, la ragazza accanto a me, riceve sempre qualcosa dai suoi conoscenti. A Gerda stasera è arrivata una salsiccia, ma una così bella. Qualche volta vorrei ricevere qualcosa da voi, non perché ho fame, ma perché me lo mandate voi. Anche se tutti, ma proprio tutti, sono gentili con me, io mi sento così sola. Ogni giorno vediamo la libertà al di là del filo spinato. C’ è anche un sentierino, contornato di arbusti e betulle, che finisce molto in lontananza in un campo di grano. Spesso vagheggio che tu lo trovi e che io possa vederti comparire alla sera. Uffa, non si può mai star da soli, tutto intorno è un continuo litigare e sbraitare. Tu stesso lo avrai esperimentato a Haaren. A volte è come se dovessi rimanere qui per sempre, ma comunque è impossibile. Adesso lavoro all’ospedale, faccio le pulizie. Se la svignano tutti, tranne Greet e io. Credo che noi siamo troppo ammodo, perché se c’ è del lavoro da fare, generalmente siamo le uniche a rimanere incastrate. Naturalmente ce la prendiamo con tutto comodo, ma è normale se la notte si dorme troppo poco! Il giusto mezzo qui non esiste. Da una parte hai le bestie da soma e gli operosi e dall’ altra i fannulloni. E se a volte ti ritrovi in mezzo a donne ebree tedesche, che impartiscono ordini, anche i peggiori sembrano migliori, basta solo che uno sia gentile e cortese e non ti ringhi contro, ma ti offra un pezzo di pane e una tazza di tè. Oggi la roba da mangiare era acida; sicuramente a causa del caldo. Signore, mi sento di nuovo un po’ meglio, ora che ho scritto un pochino mi torna il buonumore. Lo farò più spesso comunque. Non è che oggi pensi di più a me? Martedì 15 giugno 1943 Sembra un’eternità e quanto durerà ancora. M. era qui, avrebbe dovuto portare qualcosa. Non l’ ha fatto. Dio, non vedo né un principio né una fine, sembra resterò qui in eterno. Oggi tutto è nero e tetro, non un solo puntino di luce. Ho pianto fino a poco fa, ora scrivo: scrivere mi dà sempre sollievo e mi ridona fiducia. Appello, fra poco continuo. È già pomeriggio. Forse vado subito a passeggiare per un poco con mia madre. È stata una giornata così terribile. Stamattina ero rimasta coricata, perché non mi sentivo bene. Agognavo un po’ di pace, ma qui essere malati è la cosa peggiore che ti possa capitare. Non c’è pace, tutto il giorno è un bisticcio continuo, la «plebaglia» si insulta, sbraita, i vecchi contro i giovani e viceversa. Sono tutti tremendamente asociali qui. Ognuno pensa a se stesso, nessuno capisce niente; molti, generalmente i ragazzi, non si rendono neanche conto della situazione, pensano di essere qui per divertirsi. Nonostante le continue richieste educate degli altri, continuano a cantare, schiamazzare e ridere fino alla sera tardi. Non hanno rispetto per nessuno, né malati, né anziani. Prendono addirittura in giro una ragazza che era una suora. Anche se hai una fede incrollabile, sono offese che fanno male, pur sapendo da quale pulpito arrivano. E io stessa sono andata da loro, volevo parlargli: ma mi hanno solo deriso. Non capiscono niente, e non vogliono proprio capire. Attraverso un pezzetto di finestra ho visto tramontare il sole, oro fuso dietro a luccicanti foglie di betulla. Un silenzioso fuoco sacro. Com’è possibile tutto questo? Da una parte quella bellezza sacra, tranquilla, e me stessa e dall’ altra questa atrocità rivoltante. Voltavo le spalle all’ uno, mentre non potevo raggiungere l’ altro e mi sentivo così sola. Greet piangeva, anche per il disgusto, per l’ indescrivibile dolore che tutto questo causa. Dio mio, perché deve esistere una cosa del genere, perché le persone devono rendersi l’ un l’ altra la vita così difficile? Questi sono quelli che si chiamano primitivi istinti di sopravvivenza. È qualcosa di terribile, ma io non credo che me ne lascerò mai trascinare, perché mi disgusta. Qui corre voce che domenica ci sarà un altro convoglio. Si vive nella miseria più totale. Neanche i sogni ti appartengono più. E allora ti tormenta dentro la miseria più tetra: tremenda, frastornante, urlante, ossessionante. Oppure sogni il cibo, le leccornie più diverse. Stamattina nel mio sogno, mi hanno messo davanti tante fette di pane con marmellate di ogni tipo, ma erano irraggiungibili, e pensare che non ho neppure veramente fame. La tensione costante e tutto il resto logorano i tuoi nervi e chi non ha una volontà di ferro finisce a pezzi. Ma io la volontà ce l’ ho e resisterò. E poi c’ è anche quello che ho visto ieri sera, anche se non potevo raggiungerlo. Finché lo tengo costantemente di mira, il pericolo di soccombere e venire sopraffatta non è così grande, credo. E se nonostante la mia volontà dovessi soccombere, allora vuol dire che doveva andare così. Forse questa è la prova del fuoco oppure è il volere di Dio, a cui devo conformarmi, rassegnarmi. Comunque tienimi stretta, la notte fammi riposare sul palmo della tua mano, come un tempo la tua principessina e allontana i brutti sogni. Dammi pace, pace e forza. * * *
La storia Uccisa con la famiglia nel luglio ’43 I testi che pubblichiamo in questa pagina sono tratti da Non dimenticarmi. Diario dal lager di un’adolescenza perduta, da oggi in libreria per Rizzoli (traduzione di Marika Viano, pp. 184, 17).
L’autrice, Helga Deen, ebrea olandese, aveva 18 anni quando dal campo di concentramento di Vught cominciò questo diario in forma di lettere al fidanzato, Kees van den Berg. I due ragazzi non si sarebbero più rivisti: Helga, deportata il primo giugno 1943, venne uccisa con la famiglia il 16 luglio. Il diario, uscito fortunosamente dal campo di Vught è stato conservato da Kees e soltanto nel 2001, alla sua morte, il figlio Conrad lo ha ritrovato e consegnato all’archivio di Tilburg.
Deen Helga Pagina 39